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Breaking Bad compie 10 anni: un viaggio in questo cult seriale attraverso la sua soundtrack

Un professore delle scuole superiori che, scoperto di avere il cancro, decide di “break bad”, raggiunge un suo ex studente ormai spacciatore a tempo pieno e diventa un produttore di metanfetamina. Premessa che, vista oggi, anticipa le conseguenze a lungo termine della crisi finanziaria del 2007-08, il buon padre di famiglia che non sa più come fare a mantenere la famiglia (considerate le incredibili spese alle quali ogni americano deve far fronte in caso di malattia) e che, a volerla dire tutta, non è che sia questa miniera di originalità. Ma la dedizione, l’attenzione per ogni minimo dettaglio e l’inventiva del suo creatore, unita a un cast eccellente e a una fotografia meravigliosa e originale che ha seminato un numero impressionante di imitazioni, hanno reso Breaking Bad leggenda.

E il cast tutto merita di essere ricordato: Aaron Paul, la vittima per eccellenza; la insostenibile Skyler interpretata da un’ottima Anna Gunn; l’amabile Dean Norris nel complicatissimo ruolo di Hank; Giancarlo Esposito che rende il drug lord Gustavo Frings un personaggio straordinariamente enigmatico e indecifrabile; il folle Tuco, interpretato da un Raymond Cruz che mette paura a ogni secondo sullo schermo; Jonathan Banks che ci fa affezionare a un personaggio assolutamente secondario come Mike, che si ritaglia un ruolo in prima fila, così come succede a Bob Odenkirk, talmente eccelso nel suo raffigurare l’avvocato mezzo truffaldino Saul Goodman (nome d’arte derivato dall’espressione “it’s all good, man”) da meritarsi uno spin-off quasi altrettanto eccellente.

E infine, lui. Colui che, come James Gandolfini anni prima, con la sua interpretazione è entrato nel gotha dei più grandi attori americani di sempre. Colui che ha realizzato la visione di Vince Gilligan: realizzare un personaggio contemporaneamente insopportabile e per il quale il pubblico ha una profonda affezione. Un personaggio che diventa sempre più, col passare del tempo, meno giustificabile nei suoi comportamenti, ma per il quale l’amore dello spettatore continua a crescere.

Bryan Cranston, per meglio comprendere il suo Walter White, ne scrisse la storia, studiò i suoi motivi ben oltre l’eccellente sceneggiatura del pilota che gli era stato proposto e per il quale era stato preso. Prese dieci chili e studiò il profondo declino psicologico (e anche fisico) di un personaggio che, schiacciato dal mondo, ha sempre vissuto a capo chino, costretto a subire gli abusi del padrone dell’autolavaggio dove è costretto a lavorare dopo la scuola per racimolare qualche soldo in più per la sua amata famiglia; un personaggio con un’immensa voglia di rivalsa, di stare bene, di non vivere in questo mondo che ne opprime l’intelligenza, le aspirazioni, i sogni. Un personaggio, insomma, che l’uomo medio del mondo occidentale conosce bene. Troppo bene.

Ma oltre alla scrittura in costante miglioramento, oltre al talento del cast di supporto, oltre al magnetico, ipnotico fascino della miracolosa interpretazione di Cranston (per la quale ha vinto quattro Emmy e due nomination), oltre alla straordinaria, seminale direzione della fotografia di John Toll prima e Michael Slovis poi, c’è un aspetto del quale non si parla mai abbastanza per il quale “Breaking Bad” è stato assolutamente innovativo: la musica. La supervisione musicale di Thomas Golubic, che Gilligan ha definito come “uno che lavora come un art director che ti presenta un Rembrandt o un Picasso”, è eclettica, caleidoscopica e si concentra su piccole gemme nascoste più che grandi capolavori dimenticati.

Golubic usa il suo talento per far sì che lo spettatore si senta a parte di un clamoroso segreto, che è quella musica diversa, straordinaria, dimenticata, nascosta, ironica, drammatica, irritantemente piacevole. Ma non solo: Golubic crede realmente nella forza che la musica dà alla narrazione e, quindi, nessun pezzo è scelto per una mera bellezza intrinseca, seguendo il principio per cui “Bad television tells you what you already know. Good television takes what you know and it puts in into a new context where it now makes sense in the world of the characters and the story that’s being told”.

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Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.