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#MySong: “Dumb”, Nirvana

Dumb
Nirvana
“In Utero”, 1993

Venticinque anni dopo i suoi occhiali da sole – montatura bianca, vagamente femminili, da maestrina, Mary Poppins – sono su Amazon tra gli accessori vintage. Kurt ci avrebbe fatto una risata, “cazzo fanno questi?”. Venticinque anni prima Amazon non c’era, c’era qualche mercatino scalcagnato dove prendere capi improbabili, cappelli da caccia, camicie sdrucite, accessori idioti. Sì, Kurt ci avrebbe fatto una risata deformando il suo pizzetto biondo e la voce roca. Poi avrebbe messo una sigaretta tra le labbra e ci avrebbe fumato su. Venticinque anni fa il mondo per Cobain è stordente come un caleidoscopio: colori sbavati, figure geometriche, illusioni ottiche. Facce sorridenti, voci sorridenti, gente che sta bene, che consuma, si diverte, si illude. Lui ci prova, s’infila in una metropolitana, si accoda alla fila, ma dopo pochi secondi scappa via. Per Kurt la normalità è violenta come un coltello puntato tra le scapole, il suo mondo è tutt’altra cosa, è un’altalena: alta altissima come l’euforia, bassa bassissima come l’effetto di una dose. E quando l’effetto finisce, ricomincia il terrore: la gente attorno è un manipolo di mostri conciati come il corpo da ballo di un orrendo musical e difendersi è impossibile. Dumb quindi è un testo di resistenza. “Non sono come loro ma posso fingere, credo di essere stupido o forse sono semplicemente felice”, un violino ronza come una vespa, sbatte una porta spinta dal vento. La felicità è una tortura o quantomeno è la felicità di quelli ad esserlo, segnata dallo shopping del sabato pomeriggio, dal morso ad un hamburger, dalla promozione in ufficio o dal pieno all’auto. È il mondo normale che uccide Kurt e Kurt non fa parte di questo mondo. Ogni tanto finge, fa lo stupido, ma poi ronza via. Sono venticinque che non lo si vede in giro.