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ROCKABOLARIO: David Bowie

Photo Credit: Sukita
Photo Credit: Sukita

Tutto in due giorni. Un nuovo disco, una nuova scoperta e poi la morte. Nascita e morte, è sempre stato così per lui, così come il concetto di show vivente che ha sempre contraddistinto la sua vita. Maschera o uomo? Ziggy o Duca Bianco? Rocker o fine soul man? Periferie degradate o navicelle spaziali? Tutto questo e tanto altro nello spettacolo inimitabile di DAVID BOWIE, qui snocciolato dalla A alla Z.

A di AMERICA – Non un rapporto normale. Tra Bowie e gli Stati Uniti è amore disperato, è terrore, simbiosi, stanchezza. “Young Americans” (1975), “This Is Not America” (1985) con Pat Metheny, “I’m Afraid Of Americans” (1995) con Trent Reznor. Gli anni a New York, quelli a Los Angeles. Warhol, Lou Reed, l’11 Settembre. Un circo bello e pauroso (vai alle lettere Q, W e Y).

B di BERLINO – È il 1976 quando Bowie molla tutto e si trasferisce a Berlino. Non ha una sterlina in tasca, trova posto in un piccolo appartamento dell’Ovest. La città è divisa dal muro ma, per lui, è una boccata d’aria fresca. Qui sperimenta con l’elettronica e il krautrock, qui tira fuori la cosiddetta “Trilogia di Berlino”, ovvero “Low” (1977), “Heroes” (1977) e “Lodger” (1979). Tre capisaldi della sua discografia (vai alle lettere C e H).

C di COPERTINE – 27 dischi in studio, 8 live, 3 colonne sonore, 50 raccolte. Non c’è uno di questi che non porti il volto di Bowie in copertina, segno del suo irriducibile carisma. C’è solo un’eccezione: la versione inglese di “The Buddha Of Suburbia”, colonna sonora di una miniserie prodotta dalla BBC (vai alle lettere H, O, V, Y e Z).

D di DUCA BIANCO – Il soprannome risale al periodo dell’album “Station To Station” del 1976. Bowie è cambiato, inizia a vestire con abiti austeri e completi scuri. Lontani i tempi delle paillettes del glam rock! A Los Angeles il suo appartamento è illuminato da candele nere e popolato da manufatti egizi. Tra “latte e cocaina” David perde svariati chili prendendo le sembianze di un aristocratico in decadenza. Un duca, appunto (vai alle lettere J, O e Z).

E di ENGLAND – A differenza di molti suoi colleghi (Beatles su tutti), Bowie non accettò mai le onorificenze che la monarchia inglese gli avrebbe voluto conferire. Ad esempio quella di Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico (respinta nel 2000) e anche la carica di Baronetto, rifiutata nel 2003 con queste parole: “Non potrei mai accettare qualcosa del genere. Veramente, non capisco a cosa serva. Non è quello a cui ho dedicato l’intera mia vita” (vai alla lettera I).

F di FILM – Bowie non è stato solo un musicista prestato al cinema, ma un vero e proprio caratterista. Sono oltre la dozzina i film cui ha partecipato: dai fumi della guerra in “Furyo” alla fantascienza de “L’uomo che cadde sulla terra”. Fino al dubbio western di Giovanni Veronesi con Leonardo Pieraccioni.

G di GENNAIO – Un quadro. Perfetto. Matematico. Come una tela di Escher. L’ultimo album di Bowie (“Blackstar”) è uscito l’8 Gennaio del 2016, giorno del suo compleanno e due giorni prima della sua morte. Insomma, Gennaio rimarrà per sempre il mese di Bowie e il 2016 un anno paradigma. Nel video di “Lazarus” tutto l’enigma di un genio.

H di HEROES – Una canzone e un disco come una specie di defibrillatore. Alla fine del 1976 Bowie è un uomo a pezzi. Magro, sfibrato dalle droghe. Ma arrivando a Berlino ritrova un sussulto. “Heroes” è quel sussulto, è l’anelito di speranza di cui aveva bisogno. Quel “possiamo essere eroi, almeno per un giorno” diventa un inno (vai alle lettere B e D).

I di ICONE – Nel 2006 Bowie è stato votato al quarto posto nella classifica stilata dalla BBC delle grandi icone britanniche del Novecento. Davanti a lui solo David Attenborough, Paul McCartney e Morrissey.

J di JONES – Nato a Brixton l’8 Gennaio 1947 e figlio di Margaret e Haywood Jones, viene registrato all’anagrafe come David Robert Jones. Sceglierà di diventare David Bowie anni dopo, per non confondersi con Davy Jones dei The Monkees, il celebre gruppo di “I’m A Believer” (vai alla lettera P).

K di KONRADS, KING BEES e le altre – Nove vite come un gatto? Macché, almeno il doppio! Se non il triplo. Oltre alle trasformazioni, ai cambi di stile, di genere musicale, di città, di connotati, Bowie ha inanellato anche numerosissimi cambi di band, soprattutto agli esordi. Qualcuno ne ha contate almeno dieci.

L di LAUGHING GNOME – Lo “gnomo che ride” è una follia datata 1967. Un singolo in cui il giovane Bowie viene accompagnato al canto da una specie di voce distorta di una specie di gnomo. Una canzone obiettivamente brutta. Bene, quando nel 1990 Bowie invitò i suoi fan a votare via telefono le canzoni che avrebbe dovuto portare nel suo tour mondiale, la gente mise “The Laughing Gnome” in testa alla preferenze.

M di MICK RONSON – Chitarrista, pianista, arrangiatore, spalla su cui piangere, anima gemella. Ronson è stato per Bowie l’amico fraterno, lo specchio creativo su cui riflettersi. C’è quel famoso video, è il 1972, Bowie suona “Starman” a Top Of The Pops. Al ritornello Mick si avvicina a David che lo abbraccia per avvicinarlo al suo microfono. Parte il controcanto e la navicella vola verso lo spazio.

N di NUOVA ZELANDA – Sulla sessualità incerta di Bowie si è scritto tanto ma fu lo stesso David a voler tenere un velo di ambiguità sull’argomento. Un’intervista rilasciata al Melody Maker fece cominciare il tam tam. Bowie disse: “Sì, sono gay”, salvo poi smentire. Ma fu una dichiarazione durante un tour in Nuova Zelanda a mescolare ulteriormente le carte: “No, in realtà sono bisessuale”.

O di Space ODDITY – Una canzone per la storia. Una canzone mentre viene scritta la storia. È l’11 Luglio del 1969 quando la vicenda del Major Tom che “galleggia nello spazio in modo strano” viene pubblicata all’interno dell’omonimo album. Addirittura dieci giorni prima che l’Apollo 11 conquisti la Luna (vai alla lettera P).

P di PSEUDONIMI – Duca Bianco, Major Tom, Ziggy Stardust, Aladdin Sane, Tao Jones, Halloween Jack, John Merrick. Nomi, alter ego, maschere, anime diverse. La musica di Bowie è uno spettacolo teatrale in cui ci si cambia di vestito a ogni atto. Dietro a ognuno di questi si cela David Jones (vai alle lettere J e Z).

Q di QUEEN BITCH – Contenuta nell’album “Hunky Dory” (1971) è l’omaggio di Bowie a Lou Reed e ai Velvet Undeground. Linguaggio di strada, storia di puttane, di solitudine e New York. Nei credits viene certificata la dedica: “Some VU white light returned with thanks”, ovvero “Un po’ di luce bianca dei Velvet Undeground restituita con ringraziamenti” (vai alle lettere T e W).

R di Glam ROCK – A Londra, agli inizi dei ’70, si restava storditi dal grigio del cielo e dai colori delle boutique. Trucchi, tutine, nuove brillantine per capelli, discoteche, promiscuità erano il carnevale moderno della città più strana d’Europa. Il glam rock assecondava tutto questo: gli spigoli erano quelli delle chitarre, ma la morbidezza quella di un capello cotonato. Oltre a Bowie, i T-Rex, Elton John, Marc Bolan cantarono la pazzia e i turbamenti del vizio (vai alle lettere M e Z).

S di SASSOFONO – Era di plastica bianca, uno di quelli che vendevano anche nei negozi di giocattoli. Un sax bianco. Glielo regalò la madre quando David aveva appena 12 anni. Il sassofono fu il primo strumento che Bowie imparò. Il suo insegnante? Quel Ronnie Ross che, anni dopo, portò nell’album di Lou Reed “Transformer” (1972). Serviva uno specialista dello strumento per l’assolo finale di “Walk On The Wild Side” (vai alla lettera T).

T di TRANSFORMER – C’è una foto, una delle più famose della storia del rock. C’è Bowie con il suo ciuffo vaporoso, Iggy Pop con un pacchetto di Chesterfield stretto tra i denti e Lou Reed in occhiali scuri. Si abbracciano. Si stringono. Alcuni dicono che Bowie abbia letteralmente salvato Reed e Iggy tirandoli fuori dalle secche della tossicodipendenza. Per Lou sarà l’album “Transformer” (1972) a celebrare questo miracolo. Un disco di Reed prodotto da Bowie. In pratica un’opera d’arte (vai alla lettera Q).

U di UNDER PRESSURE – È l’alba degli anni ’80, a Montreux, in Sivizzera, all’interno di una sala di registrazione, David Bowie e i Queen sono impegnati in una jam session. Si lavora sulle ceneri di un brano chiamato “Feel Like” poi mutato in “People On Street”. Il basso, quel ritmo, quell’incontro di voci con Freddie Mercury e l’ennesimo cambio di titolo porterà quella canzone alla storia: “Under Pressure”.

V di VALENTINE’S DAY – Il giorno degli innamorati può essere anche quello dei morti ammazzati in una strage con le armi? Nell’Illinois sì, nel 2008 sì. Bowie scrive una canzone (contenuta nell’album “The Next Day” del 2013) che si muove fra amore e morte e lo fa con la solita maestria. Valentine sogna “un mondo ai suoi piedi e ha qualcosa da dire” (vai alla lettera A).

W di WARHOL, ANDY – Bowie conosce Warhol agli inizi degli anni ’70. L’incontro è folgorante e porta David a ragionare sulla figura dell’artista che “dev’essere a tutto tondo”. Performer, icona, fantoccio, frontman. Nell’album “Hunky Dory” (1971) quindi dedica ad Andy Warhol una canzone che porta il suo nome e che recita così: “Vorrei essere una galleria per mettervi tutti nel mio spettacolo” (vai alla lettera A).

X di BRIXTON – Tutti hanno voluto partecipare, tutti hanno voluto lasciare un fiore, un disegno, un pezzo di canzone, una X. Una notte insonne quella del 10 Gennaio del 2016 con il popolo di Brixton riunitosi sotto al famoso murales di Bowie. E agli Hansa Studios (dove David registrò alcuni tra i suoi album più famosi) una scritta enorme recitava “Our Brixton Boy” (vai alla lettera J).

Y di YOUNG AMERICANS – Nel 1975, messo da parte il glam rock, Bowie si tuffa in un mare inesplorato: quello dell’r’n’b e del soul. In quel periodo sono innumerevoli i suoi ascolti di black music ed è per questo che decide di provarci. L’album “Young Americans” spiazza tutti e contiene uno dei singoli più importanti della sua carriera, quella “Fame” scritta a quattro mani con John Lennon (vai alla lettera A).

Z di ZIGGY STARDUST – La maschera più famosa di Bowie è quella che più ne ha caratterizzato la forza iconica. Quando Bowie è sul palco e veste i panni di Ziggy è un essere androgino, alieno, con gli occhi trasparenti e le tutine aderenti. “Ziggy fa l’amore col suo eco”, canta. E, accanto a lui, eccoli, i ragni da marte (vai alla lettera P).