Home INTERVISTE Jethro Tull – “Il tempo? Non c’è modo di arrestarlo”

Jethro Tull – “Il tempo? Non c’è modo di arrestarlo”

Giugno 2009: Sempre quel tempo, quel dannato tempo, che passa senza voltarsi indietro. Quarant’anni, anzi per la precisione quarantuno. Sono quelli stampati sulla carta di identità dei Jethro Tull. Una delle band inglesi più famose di sempre, protagonista della nascita del filone rock più eclettico che storia ricordi: il progressive rock. Del progressive (“e non prog, quello venne dopo”, come ci racconta il leader Ian Anderson) i Tull furono l’espressione più completa, più mitica e longeva. Un successo enorme unito a una grande integrità artistica e ad un impatto devastante sugli almanacchi della musica, anche grazie alla silhouette di Anderson sempre pronto a fare piroette nell’estasi del suo flauto. Una mescola unica di blues, hard rock, epicità che in dischi come “Aqualung”, “A Passion Play”, “Ministrel In The Gallery”, raggiunsero il massimo. I Jethro Tull verranno in Italia a luglio per una cinquina di date: Cagliari, Udine, Bergamo, Todi e Taormina. Dall’1 al 7 luglio.

Domanda: Ian, verrete in Italia a luglio per il tour. Tra le tappe il Teatro Antico di Taormina, un luogo che valorizza la teatralità della vostra musica…
Ian: Beh, credo che ogni tipo di performance pubblica è teatrale in qualche modo. Per quanto mi riguarda, più antico è il teatro, più mi sento a casa tra quelle mura. Lungo la nostra carriera, ci siamo esibiti in alcuni bellissimi e antichi siti come quelli di Ephesus in Turchia, di Caesarea in Israele e poi all’Acropoli di Atene. Così Taormina è un altro tassello da aggiungere alla nostra lista privilegiata. Tra l’altro cerchiamo di rispettare al massimo questi splendidi luoghi, a me piace passarci un po’ di tempo prima che arrivi il pubblico. Lo faccio per prendere confidenza con gli spiriti e i fantasmi del posto e dare loro il tempo di prendere confidenza con me.

Domanda: Dovevate suonare a Taormina l’anno scorso per i quarant’anni di carriera. Hai paura del passare del tempo? E che tipo di segno pensi abbiate lasciato nella storia del rock?
Ian: Il passare del tempo e l’ultimo salto verso l’ostacolo finale mantengono tutti i cavalli in ottima forma. Non c’è modo di arrestare il tempo come dice la nostra canzone “Locomotive Breath”. Non sono spaventato di invecchiare talmente da non essere più d’aiuto a nessuno. Solo mi dà fastidio che tutto debba finire in quel modo. Credo che i Jethro Tull abbiano lasciato un piccolo ma importante segno nella storia della musica contemporanea. Abbiamo mostrato come il successo commerciale è qualche volta possibile senza compromessi e che le performance dal vivo, l’improvvisazione e l’originalità sono le cose più importanti che una band ha da offrire.

Domanda: Siete una delle poche formazioni nate negli anni ’60 che ancora resiste. Il segreto?
Ian: Basta essere sinceri con se stessi il meglio che puoi. Lascia che il pubblico venga da te. Non cercare con troppa insistenza il successo commerciale. Se sei abbastanza fortunato da raggiungere una buona affermazione, prova a stare lontano da comportamenti da “rock star” e concentra la tua testa in cose migliori di alcol, droghe e macchine veloci. Cerca di stare in salute nel corpo e nella mente. Porta il cane a fare una passeggiata, aiuta a lavare i piatti, ricorda il compleanno di tua moglie, cambia le corde della tua chitarra e pulisci il tuo flauto. Ecco.

Domanda: E poi un’immancabile forza comunicativa no? La storia del rock ti mostra sempre con il tuo proverbiale flauto e le tue pose un po’ medievali. Quanto è stato importante l’aspetto iconografico per il successo dei Jethro Tull?
Ian: Quello aiuta ad avere un’immediata impronta iconografica e la mia posa su una gamba, in questo senso, ha fatto un ottimo lavoro. Un’immagine storica è quella a cura del designer che lavorò con noi per l’album dell’anniversario ventennale della band nel 1988. Non ricordo chi fosse, ricordo però che fu una ottima rielaborazione della foto che era presente nell’artwork del disco “Living In The Past” del 1972.

Domanda: Che ne pensi oggi del termine “progressive rock”? Riusciva a descrivere la musica che facevate?
Ian: Mi pare che “progressive rock” fosse una buona espressione. Inizialmente usata alla fine degli anni sessanta per descrivere il movimento musicale, lontano dallo stereotipo del pop e del rock, in un momento in cui alcuni musicisti, come noi, stavano ricercando nuove influenze che venissero direttamente dalla musica classica, dal folk, dal jazz e dalla musica esotica. Poi però il termine ha perso qualsiasi tipo di senso quando fu ridotto a “prog rock” e quando gli Emerson Lake And Palmer, i Gentle Giant e gli Yes iniziarono a suonare in maniera un po’ troppo intellettuale per il resto di noi. Nel nostro album “Thick As A Brick” abbiamo rilasciato una scherzosa dichiarazione riguardo al prog rock. La copertina, infatti, era un finto giornale con strane notizie di cronaca, andate a vederla! Forse il termine “eclettico” ci descriverebbe meglio date le numerosissime influenze che ha la nostra musica. La cucina Jethro Tull è un luogo affollato in cui gli aromi e le spezie sono un po’ forti per il palato di molti, ma che pian piano si può imparare ad apprezzare. Ah, dimenticavo, non scordate di dare la mancia al cameriere.

* Foto d’archivio

A cura di Riccardo Marra