Home INTERVISTE Lele Battista – “La new wave nel mio dna”

Lele Battista – “La new wave nel mio dna”

06-04-06: Direttamente dagli uffici di Milano della Mescal, Lele Battista ci accoglie calorosamente per iniziare un’amichevole chiaccherata, e per illustrarci le potenzialità del nuovo disco: “Le Ombre”. In un’atmosfera da salotto il giovane artista, classe ’75, ci racconta il passato coi “La Sintesi” e l’avventura del primo album da solista.

Domanda: Iniziamo partendo dal passato. Il primo album dei La Sintesi, “L’eroe romantico”, è stato prodotto da Morgan, come vi siete conosciuti? E cosa ti ha lasciato l’aver lavorato con lui?
Lele: Beh, è stato il primo approccio serio con lo studio di registrazione… Morgan è una persona piena di idee… è stato quasi scioccante il modo in cui lui, in ogni momento, tirava fuori un’idea nuova e diversa da quella del giorno prima; era proprio un continuo tirare fuori arrangiamenti… è proprio vulcanico lui! Fortunatamente in quel disco è riuscito a mantenere un filo conduttore a livello di produzione: è incredibile quante idee tirasse fuori e che allo stesso tempo riuscissero a coesistere tranquillamente. Sicuramente mi ha lasciato, e mi lascia, un sacco di cose ogni volta che lo vedo, perché è una persona molto profonda e allo stesso tempo esplosiva; è un grande artista che cerca di fare arte continuamente, anche in una conversazione normale, e quindi è molto stimolante. Ci metteva di fronte al suo modo originale di vivere nell’arte, di fare tutto arte, e nello stesso tempo ci ha lasciato un sacco di cose pratiche da grande musicista: trucchetti di registrazione, produzione, arrangiamento… per me lui può essere considerato un maestro, nel senso che parlare con lui è emozionante quanto parlare con Battiato, perché anche se ha 30 anni meno è un uomo straordinario… è una persona che ha un grosso valore, una personalità forte, è una persona che mi ha aiutato molto e da cui ho imparato un sacco di cose.

Domanda: Dopo il progetto dei La Sintesi, ci troviamo dinnanzi al tuo primo lavoro da solista. Il modo di concepire quest’album è stato più faticoso e sofferto rispetto agli album passati, oppure più immediato e rilassante?
Lele: Stranamente è stato più immediato… in una prima fase… nel senso che è venuta questa idea delle ombre, insieme ai primi pezzi, in maniera molto spontanea; poi ovviamente ad ogni album uno cerca di dare più che al precedente, di migliorare, e per farlo deve per forza cercare di essere sempre più sincero con se stesso in quello che racconta: e proprio qua sta la difficoltà. Quando ti metti a trovare i difetti e a sistemare, allora li diventa più complesso perché comunque c’è un lavoro di ricerca sempre più curato, a partire dai testi al modo di suonare, produrre e cantare… sotto quell’aspetto è sempre più difficile perché uno cerca di evolversi rispetto a quanto fatto in precedenza… però è stato anche più facile produrlo, dato che è stato fatto perché doveva essenzialmente piacere a me e a Giorgio, che è coproduttore. Fidarsi del proprio gusto è più facile che interpretare quello degli altri… e questo è stato lo spirito di partenza: fare un disco uniforme, con un’identità ben precisa, perché il sogno rimane quello di fare un disco alla “Disintegration”, un disco che rimanga una cosa a parte nella storia per come suona, un disco compiuto dall’inizio alla fine con un genere musicale suo. Le canzoni scorrono via una dopo l’altra e pur sembrando un blocco unico a livello sonoro e di idea, non ti annoia, e per questo secondo me è il disco ideale! Mentre i dischi precedenti, forse più il secondo del primo, erano un po’ schizzati, si passava dal pop al rock più dark… questo è nato come un blocco unico… la copertina, il titolo, l’arrangiamento, la musica, la scelta degli accordi… doveva riflettere questo mondo un po’ oscuro ma anche con qualche apertura verso la luce. Sotto questo aspetto è riuscito, nel senso che per me è difficile che a distanza di 3 mesi, dalla chiusura definitiva, riesca ad ascoltarlo ancora con piacere, visto che solitamente dopo un po’ avevo una specie di rifiuto nei confronti delle cose che faccio, invece fortunatamente questo qua sfugge alla legge del rifiuto una volta uscito dallo studio.

Domanda: Qual è il tuo modo di comporre? Preferisci iniziare dal testo e ricamare sopra la melodia, o viceversa?
Lele: Si potrebbe tirare fuori un modo di comporre, ma siccome per scrivere un album ci vuole soprattutto del vissuto, delle cose da raccontare, delle situazioni, che in qualche modo mi hanno colpito, che ho assorbito, metabolizzato e rielaborato, ci vuole del tempo, e per questo ogni canzone alla fine ha una storia sua. Ancora adesso non riesco a trovare un modo sistematico di mettere giù le cose, nonostante ci provi tutti i giorni, però poi succede sempre che se ti metti li le cose non ti vengono e invece vengono quando meno te lo aspetti. L’unica cosa che si può ricondurre al mio modo di scrivere è forse l’uso della lingua italiana come punto di partenza, sia che nasca prima il testo o la musica. Piuttosto che cantare una linea melodica in inglese inventato, canto delle parole in italiano, anche brutte, che poi rielaboro… ognuno ha il suo metodo, strimpellare, canticchiare una melodia con un inglese inventato va per la maggiore, ma per me è controproducente dato che sono sempre stato abituato a scrivere in italiano di cui conosco la metrica, mi viene più difficile pensarla in inglese, oltre che limitante. Per esempio Battisti usava i numeri, e poi dava a mogol la striscia dei numeri, in modo tale che aveva la metrica, e sostituiva i numeri alle parole.

Domanda: Come ti trovi con la nuova formazione?
Lele: La formazione che ha partecipato al disco è una formazione incredibile, impensabile per me, fino a poco tempo fa. Sergio Carnevale dei Bluvertigo, il batterista su alcuni brani, secondo me ha fatto la sua performance migliore in questo disco, nel senso che è riuscito a esprimersi liberamente; si vede che in quel periodo si sentiva di suonare in questo modo, un modo molto morbido, molto colorato, che era poi quello che volevo, era quello per cui è stato chiamato… è un batterista molto bravo, molto preciso, ha una sensibilità musicale notevole per un batterista, sente i brani parecchio e quindi li interpreta molto. Poi Megahertz che ha suonato il basso e le tastiere… anche lui ha un modo molto personale di suonare, pesca di qua e di là. A lui per esempio piace molto Roger Waters dei Pink Floyd come bassista… ci sono delle cose che suona sempre, dei passaggi… però farli fare agli altri bassisti non è facile, avendo un suo modo personale, ha queste dita enormi e sbatte sul basso come se avesse due martelli dato che era un contrabbassista, quindi abituato a pizzicare forte. Giorgio Mastrocola come chitarrista è molto raffinato e particolare, in Italia raramente ho sentito delle chitarre così, molto elegante, preciso, quello che fa si riconosce, è particolare, è come se suonasse da pianista classico, con tutti questi arpeggi ricchi di note particolari, riesce a stupirmi sempre… non è scontato. La produzione di Celso Valli, che è intervenuto in 3 brani, e che ha reso il tutto pazzesco con un’orchestra di archi veri… e per me è stata la prima volta… a parte l’esperienza di Sanremo in cui l’orchestra… lasciam perdere… l’organizzazione non è in grado di gestire un gruppo secondo me, tranne in qualche raro caso i gruppi sono snaturati. Celso Valli ha suonato in modo molto emozionante, l’ho conosciuto per delle produzioni italiane, tipo Vasco Rossi, Ramazzotti… e in realtà mi è stato proposto dal discografico, anche se all’inizio ero un po’ dubbioso, perché la sua carriera è fatta di grandi successi di musica straitaliana e invece ho scoperto che ha proprio un animo rock che tira fuori occasionalmente, ha una sensibilità molto vicina alla mia e quindi ci siamo capiti al volo, e la cosa bella è stata che lui si è lasciato un po’ andare, non ha voluto fare la solita cosa alla Celso Valli, ma si è lasciato andare alla sperimentazione, alle chitarre più rock. E’ un grande musicista, direttore, compositore… lavora ancora sulla carta, scrive gli spartiti… è stato bello anche questo, approcciarsi al disco con una visione un po’ più classica, tutti i musicisti avevano lo spartito e si lasciava poco spazio al caso… doveva essere tutto chiarito prima di suonare, ed è un modo interessantissimo anche per il rock, perché lo spartito ti permette di avere un linguaggio, è molto più semplice parlarsi in studio, diventa molto più veloce il lavoro, paradossalmente… nonostante di primo acchitto dici no! Lo spartito è una cosa che mi lega! E’ stata una scoperta vedere questi brani arrangiati da Celso Valli con cui ho avuto un’interazione molto forte… c’è stato un coinvolgimento reciproco molto emozionante. Lui è una persona che ha 50 e passa anni, eppure avevamo un dialogo da amici del bar, da amici di vecchia data, proprio perché si è creata un’intesa caratteriale e musicale insperata all’inizio… lui è forse stato il collaboratore più autorevole e sorprendente.

Domanda: In questo disco si sentono prevalentemente atmosfere new romantic con sprazzi di new wave, e nonostante ciò suona molto “italiano”. Quali sono gli artisti che più ti hanno ispirato per la realizzazione di quest’album?
Lele: La new wave è sempre presente nel mio dna oramai. A me piacciono molto i Beatles e alcuni dei loro eredi, tipo Elvis Costello, che hanno un modo di scrivere che è molto legato a loro. E poi, secondo me, c’è un altro filone di scrittori di musica contemporanea che scrivono canzoni più alla Martin Gore… ecco Martin Gore dei Depeche Mode secondo me è l’esempio di un autore di canzoni e melodie che è totalmente distaccato da quello dei Beatles, e allora in quel senso è new wave. Dopo il punk si è un po’ rivoluzionato il modo di scrivere, si è iniziato a farlo in maniera diversa e distante dal modo dei Beatles e sicuramente questi musicisti mi hanno influenzato molto. Ho iniziato ad ascoltare quella musica li a 17/18 anni e iniziai a scoprire i Cure, i Depeche Mode, prima ascoltavo più roba dei ‘60 e ‘70 insieme ai cantautori italiani. Per me la new wave ha rappresentato proprio un modo di intendere le canzoni, un modo diverso da quello alla Beatles. Tra le altre influenze musicali ci sono i nuovi gruppi come Radiohead, Mogwai, Sigur Ròs, che hanno fatto dei dischi molto intensi e seri, nonostante questi ultimi anni, che sono stati i peggiori per la musica… però ci sono stati i Jeff Buckley, i Radiohead appunto, che hanno dato delle botte creative pazzesche.

Domanda: Per qualsiasi ascoltatore, quanto per l’artista, è importante recepire ed essere recepiti. In alcuni pezzi ci sono delle parti che hai scritto, che sono magari più misteriose rispetto ad altre. Ne “La voglia di stare con te” ti stai riferendo a una persona in particolare? Oppure è una critica alla società?
Lele: Il fatto che il testo può essere inteso in maniera diversa, è proprio quello che mi piace di quella canzone. Parecchie altre canzoni nascono accumulando una serie di pensieri, sensazioni, emozioni da diverse situazioni che non c’entrano niente l’una con l’altra, ma che poi magicamente finiscono nella stessa canzone. Ad esempio ne “La voglia di stare con te” anche se si riferisce ad una amicizia che si è logorata, ha dentro degli elementi che si riferiscono alla rottura con la mia vecchia casa discografica, oppure ad altre cose, come una storia d’amore che stava finendo… è tutta una serie di sensazioni che in quel periodo mi sono entrate dentro e che poi sono riuscite all’interno di questa canzone. E adesso, anche per me, quando la suono dal vivo, è stimolante pensare che sto cantando questa cosa ogni volta riferita a una cosa diversa, e quando la canto mi piace pensarla in questa chiave qui, mi piace che ognuno la possa dedicare a chi vuole.

Domanda: Passando invece alla title-track, che risulta più enigmatica, quali sono le ombre da ricercare per trovare l’infinito? La ricerca delle ombre sta a significare che bisognerebbe guardare oltre, a ciò che c’è nella realtà? La megalopoli che ti opprime è il mondo?
Lele: Quando parlo di megalopoli mi riferisco a Milano, che è la città in cui vivo e che trovo abbastanza opprimente, per me è la città delle bugie, la città delle ombre, ma non perché Milano sia particolarmente falsa, ma perché è frenetica. Ci sono parecchie cose di questa città che non sopporto, anche l’averci vissuto sia culturalmente che fisicamente, trovo che mi abbia condizionato in maniera negativa, per quello nel disco si parla spesso di prati, di evasione, di Trieste delle montagne. Le ombre sono un modo per dedurre l’infinito, a volte succede che se tu stai camminando e c’è un incrocio e dall’altra parte arriva una persona, vedi prima l’ombra della persona e quindi intuisci che c’è una persona! E in questo senso, le ombre, sono un modo per conoscere, anche per intuire che c’è un infinito dentro di me, io non riesco a vederlo ma probabilmente c’è, e l’individuare le ombre serve anche a liberarsene, a pensare che si può andare anche oltre.

Domanda: In “Amore folle” crei delle immagini splendide quanto surreali: puoi spiegarmene il significato?
Lele: Sono immagini in cui volevo esprimere questa sensazione di distacco dalla realtà che ti da l’amore… anche nella canzone successiva se ne parla, che è “Tutto strappato”. L’amore a volte ha il potere di farti sentire una persona libera e felice, e di farti dimenticare tutte le cose che non ti vanno. Sia “Amore folle” che “Tutto strappato” sono due canzoni che parlano d’amore, sensazione, di novità e di leggerezza e anche di ritrovata ingenuità… tutto quello che ti dà un amore che nasce. Entrambe le canzoni sono fatte di immagini, quelle di “Amore folle” sono più surreali: le immagini che si creano nei testi musicali sono quelle che danno forza al pezzo. Nel pezzo “Trieste” c’è la frase “ti porto a visitare Trieste fra le scorte di vento”, che è una frase semplice, ma che, notandolo in un sacco di persone, fa scattare una molla strana, forse perché Trieste non è New York, uno non si aspetta quel che trova. Io stesso ascolto dei testi di cui non capisco niente, ma che ti restano addosso, che ti lasciano delle immagini, delle sensazioni, è il potere della poesia che anche se non è perfettamente chiara avvicina due animi lontani, a far si che due persone che non riescono a parlare si avvicinino.

Domanda: Parlando dell’argomento “promozione” cosa intendete fare? Che singoli saranno estratti? Verranno realizzati dei video?
Lele: La promozione con Mescal è molto diversa da quella con la Sony: Sanremo, video, uscite, tutto molto veloce, investire tanti soldi, ma senza seguirti passo passo. Mentre nella Mescal c’è un altro tipo di rapporto, sono persone più umane, si lavora più in confidenza, schiettamente, e quindi più amichevolmente e con meno ipocrisia. Prima era più misterioso e meno gestibile da parte mia, non saprai mai cosa ti succederà domani perché quando finisce il budget addio. Comunque ci sono un sacco di cose in ballo, ne vengono fuori ogni giorno: i video, le radio, che anche se hanno meno mezzi ti trattano con più cura, sono dei babysitter coscienziosi del mio bambino!

Domanda: Ultima domanda di rito prima di lasciarci: se ti dico Cibicida, cosa ti viene in mente?
Lele: Cibicida? Uno che ammazza il cibo?

A cura di Enrico Morganti