Home INTERVISTE Tortoise: 20 anni vissuti ibridamente

Tortoise: 20 anni vissuti ibridamente

Vent’anni e sentirli. Non certo per i Tortoise, band sempiterna per eccellenza, ma per un pubblico che oggi forse non si filerebbe di striscio la band di Chicago, vera protagonista degli albori del post rock americano negli anni Novanta. Un modo di ibridare la musica, il loro, tra gusto postmoderno e volontà sperimentali, un modo che forse oggi non sarebbe “capito” fino in fondo. Quindi storie come quelle dei Tortoise sono segmenti importanti proprio perché aiutano a ricordare un’epoca che non c’è più. In occasione del ventennale delle “tartarughe” e di quello della loro etichetta di riferimento, la Thrill Jockey, ecco per questo fine 2012 la rimasterizzazione dei primi due singoli della band usciti nel 1993, Mosquito e Lonesome, e la ristampa in vinile dell’intera discografia del gruppo: dall’esordio “Tortoise”, passando per il caposaldo “Millions Now Living Will Never Die”, fino a “TNT”, “Standards”, “It’s All Around You” e “Beacons Of Ancestorship” (l’ultimo album pubblicato nel 2009). Vent’anni che Il Cibicida ha voluto ripercorrere grazie all’aiuto di John Herndon, batterista e fondatore della band, che in quest’intervista ci racconta anima e cuore dei Tortoise.

tortoiseintervista2012

John, facciamo un salto al passato. La prima forma di Tortoise si chiamava “Mosquito”. Ci racconti dei vostri primi passi?
Incontrai John (McEntire) e Bundy (Brown) attraverso Doug (McCoumbs). Forse la prima volta che ci vedemmo fu al iDful Music dove registrammo le prime due canzoni. La nostra formazione consisteva in una doppia sezione ritmica, due bassi e due kit di batteria. Ascoltavamo un mucchio di cose a quei tempi, ad esempio “My Life In The Bush Of Ghosts” di Eno-Byrne, “Remain In The Light” dei Talking Heads, “Fear Of Black Planet” di Public Enemy, ma anche gli Scientists di “Rids The World Of The Evil Curse Of The Campires”, Ruts DC con Mad Professor, i Beastie Boys (soprattutto “Paul’s Boutique”) e ancora John Coltrane, Nick Cave & The Bad Seeds. Era un bel periodo, pieno di roba interessante.

Nel ’92 poi cambiaste nome in Tortoise, esattamente vent’anni fa. Perché Tortoise?
Quando fondammo la band col nome “Mosquito”, scoprimmo che era già utilizzato da altri. Così Doug spuntò un giorno con l’idea di battezzarci “Tortoise”. A quel punto ci sembrò appropriato… lenti e costanti, come una tartaruga.

Tutt’attorno c’era Chicago. Strade, gente, locali. Che riflessi ha avuto in voi e nella vostra musica?
Chicago era ed è ok. Quello che mi colpisce di più pensando a quella scena – ma non sono sicuro lo sia stata… una scena – è che, a metà dei Novanta, Chicago era un ottimo luogo per cambiare vita venendoci a vivere. Sai, non è proprio sulla costa come Los Angeles o New York, ma un po’ lì in mezzo. Un sacco di giovani arrivavano a Chicago dalle piccole città per il college o per lavorare, l’economia era ottima con prezzi a buon mercato. Quell’atmosfera era fertile certamente, ma non credo favorì una vera e propria scena. Più semplicemente fu il teatro perfetto per l’incontro tra persone “simili”. Insomma, eravamo tutti musicisti desiderosi di un posto dove suonare e di alloggi a pochi dollari. Ecco tutto.

Dunque il post rock era una balla. Di certo era tutto fuorché una scena, no?
Anche in questo caso è un po’ strano da spiegare, devo inquadrare la mia risposta e contestualizzarla storicamente. Voglio dire, la nostra musica arrivò in un momento particolare, il pubblico era più aperto all’epoca e quindi non erano i nostri suoni ad essere così diversi. La stampa definì post rock tutto ciò che è “senza significato” e forse sì, era l’approccio che avevamo. Nulla di nuovo… è che dentro le nostre canzoni c’era tutto, c’era dj, jazz, reggae, punk, art rock, musica classica, un sacco di roba… proprio perché, come ti dicevo prima, la ascoltavamo tutta quella roba, quindi era come filtrarla attraverso una nuova proposta. E’ per questo che non hanno mai saputo dove “piazzare” la nostra band… noi abbiamo suonato con gli MCs e ci sarebbe piaciuto esibirci al fianco dei Punk o dei Dj. Avremmo suonato volentieri anche ai festival elettronici. Negli anni abbiamo fatto un sacco di festival jazz senza essere jazz. Insomma, non so se ti ho risposto.

Beh, sì. “Senza significato” è non avere mai uno sguardo fisso e aggiornarsi sempre, no?
Dopo un paio d’anni in questo gruppo capii che avevamo la potenzialità di durare per molto tempo… un fatto di “chimica”, e questo fluido lo sento ancora oggi. La forza dei Tortoise non è il picco raggiunto negli anni ’90, ma il modo in cui ci siamo sempre rigenerati nel tempo con un continuo sguardo verso il futuro. Adesso, per esempio, siamo pronti per dei pezzi nuovi.

Ma oggi qual è la vostra relazione con il passato? Vi spaventa?
La gente pensa a questo, ma sinceramente noi siamo alla ricerca sempre delle idee migliori. L’enorme differenza è che oggi le persone possono fare le proprie cose sui computer… “a cosa serve questo bottone?”… insomma un mondo strano. Stiamo vivendo un processo aperto e chissà cosa ci riserverà. Per quanto mi riguarda non ho più vent’anni e non li rivorrei indietro, magari vestendo come Bruce Springsteen.

“Millions Now Living…” è considerato il vostro album migliore. Perché secondo te?
Alcuni di noi non sono così entusiasti di “Millions”, nel senso che è un disco abbastanza ambizioso ma non probabilmente “finito”. Allora ci mancarono le risorse, nell’aria si respirava il sentimento: “questo è quello che abbiamo ed è il massimo che possiamo fare”. Ci sono alcune cose molto positive in quel disco, alcune libertà estreme. Ma sono convinto che negli anni siamo riusciti a raccogliere tutto ciò che avevamo lasciato in sospeso, mettendo nei dischi niente di “superfluo”.

Domanda secca: da cosa traete ispirazione?
Dalla Natura con la “N” maiuscola.

Perché negli show vi cambiate spesso di posizione? Qualcosa di solo estetico o anche di funzionale?
Forse per noia. Non so se ho una vera risposta. Ma se qualcun altro può pensare a uno strumento in maniera diversa suonandolo con qualche rumore in più, perché no…

Parliamo della Thrill Jockey, l’etichetta è nata nel ’92 proprio come voi. La vostra musica sarebbe stata diversa senza di loro?
Un suono di una band può mutare solo se è la label a imporre un cambiamento. Non è stato il nostro caso. Certo ci sono stati momenti in cui la nostra musica è stata vista in maniera differente… ma mai si è verificato un caso scatenante. Ci siamo “affrontati” testa a testa un paio di volte. E’ il gioco delle parti.

Solo 6 album in 20 anni. Perché?
Perché siamo lenti. E non è un problema, è perfetto. La mia più grande fantasia era far parte di una sottocultura che funzionasse diversamente rispetto ai meccanismi del pop. Noi poi ci scherzavamo su: “oh, è troppo lungo questo pezzo, se non ci sbrighiamo ci facciamo vecchi!”.

Ma qual è il futuro dei Tortoise? In quali territori musicali andrà?
Questa è una buona domanda, vorremmo essere un po’ più attivi. Siamo tutti molto occupati e un album ogni quattro anni non è esattamente un bel ritmo. Suppongo siamo tutti spinti dal voler diventare musicisti migliori, ma non posso dire di volerci più “grandi”, c’è qualcosa che succede alla musica quando è suonata nelle grandi arene. Penso sia una questione di qualità. Ah, non dovrei bere così tanto per strada.

Esistono gli eredi dei Tortoise? Ci fai un nome di band che apprezzi particolarmente?
I The Miracle Condition!