Home INTERVISTE Zen Circus – “Noi e la nuova scena del rock italiano”

Zen Circus – “Noi e la nuova scena del rock italiano”

Agosto 2010: Certo, non ci poteva essere modo più shock per gli Zen Circus di passare alla lingua italiana. Il titolo eloquente del nuovo disco, infatti, è “Andate Tutti Affanculo” e mostra la band pisana nella sua versione più provocatoria e molesta. Abbandonato l’inglese, così, per i Circus inizia una nuova vita artistica: il loro rock cangiante legato a testi duri e sarcastici e un catalogo “sugli italiani di oggi”. Il Cibicida ha sentito Andrea Appino, leader storico della formazione toscana.

Domanda: Andrea, il vostro ultimo disco è “Andate Tutti Affanculo”. Un titolo forte e provocatorio. Ce lo racconti?
Andrea: Anni fa, eravamo a Cosenza e tutti ci ripetevano continuamente “quando fate un disco in italiano?”. Noi pensammo che se mai l’avessimo fatto l’avremmo voluto chiamare così. Poi ne è passato di tempo e quando siamo arrivati al passo della lingua italiana, ci siamo ricordati di quella volta e abbiamo intitolato il disco “Andate Tutti Affanculo”, anche perché volevamo fare un concept sugli italiani di oggi. Però è un titolo a due facce: da un lato è provocatorio, dall’altro è piuttosto qualunquista, proprio perché nel disco suoniamo il ritratto di dieci qualunquisti. Tra l’altro ci aveva incuriosito il fatto che nella musica anglosassone fosse stato usato più volte, mentre in Italia no. Bene, ora anche la musica italiana può tramandarlo ai posteri.

Domanda: Anche Il Teatro Degli Orrori, ex One Dimensional Man, sono arrivati al passo della lingua italiana di recente, ricercavate entrambi una maggiore incisività?
Andrea:
E’ un parallelismo super azzeccato anche perché siamo amici da una vita. Ricordo che il primo disco dei One Dimensional Man lo hanno registrato in contemporanea al primo ep degli Zen nel ’97. Anche loro hanno subito la manfrina della lingua italiana, ricordo che Pierpaolo Capovilla era contrarissimo all’idea di cantare in italiano, poi magari un giorno s’è ritrovato ad avere delle cose da dire nella nostra lingua e l’ha fatto. Noi ci siamo accorti che cantando in italiano arrivavamo molto di più al pubblico, pensa che abbiamo anche triplicato le vendite dei dischi e molti ragazzi sono convinti che “Andate Tutti Affanculo” sia l’unico disco che abbiamo fatto. E’ andata così insomma e ne siamo contenti.

Domanda: Tra le band di oggi, c’è voglia di una nuova scena rock come quella degli anni ‘90?
Andrea: Quello è stato un gran periodo con gruppi come Afterhours e Marlene Kuntz. Però sì, mi pare ci sia una nuova voglia di fare le cose in maniera diretta. Certo loro avevano l’appiglio del disco, noi invece viviamo per la maggior parte di esibizioni live. Il confronto con la gente dal vivo è la cosa più bella per un musicista, però è molto faticoso. Se c’è una cosa in comune tra noi e loro è lo spirito del voler fare.

Domanda: Nel disco c’è la partecipazione di un grande artista come Nada…
Andrea: Un’esperienza positivissima con lei, tanto che dopo la collaborazione ci ha chiesto di registrare il suo prossimo lp. Lei è un mito del rock, potrebbe essere da qualsiasi altra parte, però ha sentito che la musica italiana è qui e allora è voluta rimanere per viverla fino in fondo. Voglio dire, lei nel ’69 ha vinto Sanremo, quindi decidere di collaborare con la scena alternativa è coraggioso.

Domanda: E’ passato un anno dall’uscita de “Il Paese E’ Reale”. Un bilancio?
Andrea: E’ stata una bella cassa di risonanza, senza dubbio. Purtroppo per noi, però, i tempi imposti dagli Afterhours per la consegna della canzone che finiva sulla compilation erano talmente stretti, che abbiamo dovuto proporre un pezzo ancora grezzo. A parte quello, gli After sono stati molto bravi, e per noi è stato un lancio importantissimo. Ripeto, mi piace molto che ci possa essere una nuova scena. L’altra volta a Milano abbiamo suonato insieme a Dente, i Ministri, Enrico Gabrielli, e si sentiva una bella atmosfera di collaborazione. Forse Agnelli poteva lasciare fuori qualche “vecchio” e portare dentro qualche altra giovane realtà, ma va bene così.

Domanda: Unhip, La Tempesta, la discografia indipendente riesce a resistere nonostante tutto. Come diavolo fanno?
Andrea: Ah guarda, questo è un mistero anche per me. Hanno tanta voglia, un monte di passione, pochi vizi da rockstar, ma invece moltissima determinazione e filosofia del lavoro. Insomma, non sono più i tempi dei discografici con la borsa e il sigaro. Oggi poca immagine e tante schiene piegate.

Domanda: Tra il 2000 e il 2010 il mondo musicale ha cambiato faccia. Ti va di lanciarti in una previsione dei prossimi dieci anni?
Andrea: Tanti concerti, quelli non li puoi cambiare. Un po’ come i libri, non moriranno mai. Io vedo un futuro per la musica, totalmente libero. Certo ci vorrebbe una cultura del premio: il pubblico non deve dimenticare che, chi fa musica, ha speso energia e fatica per farla. Così come per i live: i biglietti d’ingresso ripagano gli sforzi, alle volte, disumani dei musicisti.

* Foto d’archivio

A cura di Riccardo Marra