Home LIVE REPORT Russian Circles @ Lo-Fi, Milano (03/04/2015)

Russian Circles @ Lo-Fi, Milano (03/04/2015)

russiancirclelivemilano2015Negli ultimi anni i Russian Circles hanno assunto una certa rispettabilità nel variegato universo post-qualcosa raccogliendo il testimone perso per strada dai Pelican, loro concittadini e capaci di non azzeccarne mezza decente negli ultimi nove anni. A colpi di dischi a volte un po’ altalenanti ma comunque mai scadenti, i Russian Circles hanno via via definito uno stile abbastanza personale fatto di post-rock alternato a furiosi riff terzinati e una sezione ritmica tutt’altro che quadrata e prevedibile. Non sorprende quindi vedere un Arci Lo-Fi pieno come un uovo, anche perché “Memorial”, ultima uscita in ordine cronologico dello scorso anno, ha confermato l’ennesima maturazione del gruppo ottenendo riscontri lusinghieri da pubblico e critica.

Aprono la serata gli Helms Alee, anch’essi sotto contratto per Sargent House come gli headliner. Trio per due terzi al femminile (bassista e batterista) con tre album in curriculum, non conoscendoli avevo dato un ascolto attento a “Sleepwalking Sailors” del 2014. Dal vivo il loro noise-core un po’ Sonic Youth, un po’ A Storm Of Light e un po’ grungettante è solo un po’ interessante e per poco tempo. I brani proposti mi sembrano interminabili eppure la durata media è di quattro minuti, direi accettabile, ma il problema è che le canzoni non affondano. L’esecuzione è nella media, la tenuta del palco niente di eccezionale anche se loro paiono crederci. Su di me, però, il tutto scivola via riattivando nel cervello una pulsante esigenza alcolica e al termine della loro performance, mentre sto in fila per la seconda birra, ho già dimenticato quanto accaduto poco fa sul palco, segno che qualcosina in più gli Helms Alee avrebbero potuto farla.

Mi rimetto in posizione e i Russian Circles sono sul palco, pronti ad azionare gli ampli. Immersi nella fitta nebbia dei fumogeni in cui penetrano luci arancioni, s’intravedono solo tre buie sagome e ciò aumenta il coefficiente psicologico dell’intera performance. Il set è un excursus di tutti e cinque i loro album, partono con Deficit ma non c’è botta, il volume è troppo basso e l’impatto di un brano tra i migliori dell’ultimo album sfuma via. Ma già con Carpe, secondo pezzo in scaletta, s’inizia a ragionare, i decibel aumentano e gli intermezzi più metalloidi che s’intervallano coi giri post-rock di Mike Sullivan colpiscono in pancia. Tra i tre il più scenografico è il batterista Dave Turncrantz che si agita dietro ai tamburi con fare da forsennato e dimostrando di essere in ottima forma.

Giunto nel frattempo alla terza birra a stomaco ormai vuoto post-digestione, sento che la linfa luppolata sta dilatando le mie percezioni, il che non può che essere un bene quando arriva 1777 che è il pezzo che più mi fa sbarellare le cervella di tutto il loro repertorio: godo come un porcospino che ha concupito con altre trenta porcospine e non ne ha mai abbastanza e l’appetito aumenta successivamente con Station, Geneva e Mlàdek, così raggiungo l’apice godereccio e il massimo assorbimento psicofisico grazie a quegli andamenti dinamici quasi come le maree. È innegabile che dal vivo i Russian Circles abbiano un tiro bello tosto e soprattutto espongano l’essenza più cupa e brutale della loro musica. Dopo il concerto seguiranno dei Braulio e un sontuoso panino per assorbire l’alcol che mi tiene ormai in ostaggio, ma al termine di quasi un’ora e mezza ad alta intensità sto musicalmente bello sazio.

SETLIST: Deficit / 309 / Carpe / Harper Lewis / 1777 / Station / Geneva / Mlàdek / Death Rides A Horse / Youngblood