Home RECENSIONI 070 Shake – Modus Vivendi

070 Shake – Modus Vivendi

“It’s not time for talking about money. We have to talk to people about real shit”. A dirlo non è un leader politico, ma una ragazza classe ‘97, Danielle Valbuena, da tempo ormai conosciuta con il nome di 070 Shake: 070 è il nome della sua crew, parte del codice postale della zona del New Jersey da cui provengono, fatto di scuole sovrappopolate e insegnanti che sono troppo oberati di lavoro e troppo a corto di fondi per cercare di capire i ragazzi che si trovano davanti (come illustra in maniera magistrale la quarta stagione del capolavoro di David Simon, “The Wire”).

Shake si è fatta notare su “ye” (2018), l’album forse peggio ricevuto di Kanye West (prima dell’exploit cattolico del nostro), con due pezzi straordinari che invece hanno avuto lodi unanimi; oltre a un album datato 2016 con il collettivo 070 (“The 070 Project: Chapter 1”, anche qui con lodi unanimi solo per lei, ma poca attenzione dal mondo della critica), le sue apparizioni sono state quasi esclusivamente di altissimo profilo: complice il contratto con l’etichetta di Yeezy, la G.O.O.D. Music, il suo giovane talento ha trovato spazio (e ancora acclamazione unanime) sugli album di Pusha T, DJ Khaled, Nas e persino nella colonna sonora del remake de “Il Re Leone”, un who’s who del gotha dell’intrattenimento afroamericano in mezzo a nomi come Beyoncé, Jay-Z, Kendrick Lamar, Childish Gambino e Pharrell.

A ventidue anni per Shake sembra quasi che l’album, scevro di collaborazioni quasi a sottolineare uno statement assolutamente personale, fosse atteso da sin troppo tempo. E ad assecondare questa sensazione è l’assoluta maturità dell’esordio dell’artista del New Jersey: molto lontano dall’essere uno dei tanti album hip hop o trap moderni, ben prodotti e ben curati ma con poca sostanza e soprattutto pochi azzardi, Modus Vivendi usa un titolo in latino in una nazione anglosassone, mischia rap, trap, pop anni ’80, Leadbelly e psichedelia, parla di “real shit”.

La “real shit” sarebbe quella di cui parlavano i Beatles, roba importante, non cagate materiali: sentimenti – “You need love”, dice la Valbuena. E i sentimenti non sono solamente l’amore, i sentimenti sono anche depressione, pensieri negativi, introspezione, qui esposti in maniera talvolta reale, talvolta figurata o persino trasfigurata attraverso esperienze psichedeliche (Microdosing).

Funziona, funziona tutto, funziona maledettamente, funziona in maniera magnifica. Testi solidi, produzione eccellente e la voce di Shake filtrata attraverso l’autotune a fare da collante al trip, trip che raggiunge le sue vette più oscure in The Pines, che molti conosceranno come “Where Did You Sleep Last Night”, un pezzo folk riproposto in uno dei momenti clou della carriera di Kurt Cobain, l’Unplugged, ma che ha origini molto antiche (addirittura agli anni ’70 del 1800). Qui Shakes lo reinterpreta modificandone la melodia efficacemente e riesce non solo a non commettere sacrilegio, ma a dare un significato al pezzo per una generazione nata dopo che Cobain morisse. Non solo, ma lo segue con un ottimo pezzo pop anni ’80, al totale opposto nello spettro emozionale proposto in “Modus Vivendi”, quella Guilty Conscience che sarà probabilmente uno dei pezzi pop dell’anno.

Se questo è l’inizio della carriera, un album r’n’b/trap che ha più tracce dei Pink Floyd che non di Notorius B.I.G., non vediamo l’ora di vedere come diavolo andrà avanti questa ragazza.

(2020, G.O.O.D. Music / Def Jam)

01 Don’t Break The Silence
02 Come Around
03 Morrow
04 It’s Forever (feat. The Ebonys)
05 Rocketship
06 Divorce
07 The Pines
08 Guilty Conscience
09 Microdosing
10 Nice To Have
11 Under The Moon
12 Daydreamin
13 Terminal B
14 Flight319

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.