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Afterhours – I Milanesi Ammazzano Il Sabato

Preambolo: la recensione che vi apprestate a leggere è stata concepita in un lasso di tempo durato la bellezza di quattro mesi, decorsi a far data dal 2 maggio 2008, ovverosia dal giorno in cui I milanesi ammazzano il sabato ha raggiunto gli scaffali dei music store italiani. Troppi per un disco il cui ascolto andrebbe consumato nel giro di quarantatre minuti, giusto la durata di una cena completa a base di carne. Eppure la visione della copertina, di per sé, ne richiede almeno cinque. Una forchetta, un cucchiaio, un piatto, un sottopiatto, sei coltelli disposti in ordine crescente, una tavola che non c’è ed una didascalia:“14 ricette di quotidiana macabra felicità”. Il richiamo a Bret Easton Ellis è riflesso ma inappropriato. Più diretto – e obbligatoriamente pertinente – è quello a Vladimir Giorgio Šerbanenko, in arte Giorgio Scerbanenco, complice la briosa storpiatura del titolo di uno dei suoi più celebri romanzi, “I milanesi ammazzano al sabato”. Dove sta la differenza tra “il” e “al” extra grammaticale e, soprattutto, come, e se, è cambiato il sabato milanese dagli anni sessanta ad oggi? Riaffiorano alla mente alcune sequenze chiave delle pellicole di Duccio Tessari, Ferdinando Di Leo, Carlo Lizzani, Gian Rocco e Pietro Serpi. I sottopassaggi del metrò. Il Duomo. Piazza San Babila. Dal gettone al telefonino. Milano da uccidere. Milano da amare. Milano by night. Milano che lavora. Milano bene. Milano da bere. Milano nera. Gli Afterhours in un roman noir? Due mesi nella direzione sbagliata. C’è un codice Agnelli ma riuscire a decifrarlo appare essere impresa pressoché impossibile. Poi la svolta. L’estate afosa, l’autostrada e un’autoradio sintonizzata su chissà quale stazione locale. La voce è quella di Giorgio Gaber, la canzone eseguita è “Il dilemma”. Del signor G., Agnelli, lungo le quattordici tracce che compongono il disco de quo, sembra volerne rivisitare il percorso esplorativo, nel tentativo di – parafando il testo del brano poc’anzi citato – penetrare nel mistero di un uomo e una donna, nell’immenso labirinto di quel dilemma che è la famiglia. E’ subito illuminazione e tutto si fa più chiaro: il titolo è una sciarada, l’aggettivo qualificativo è “gaberiano” e Manuel Agnelli è diventato “il signor M.”. Il signor M. che scrive di mutui che terrorizzano i “grandi” (Naufragio sull’isola del tesoro) così come gli orchi i piccini (Orchi e streghe sono soli), che racconta di una società ridicolizzata dalle mode e dalle tendenze (Tema: La mia città), che canta di patres familiae come re (I milanesi ammazzano il sabato) e di muse senza lira (Musa di nessuno), che un po’ ci pensa (Tutto domani) e che un po’ non sa (Dove si va da qui). Già il signor M. e le sue canzoni, quelle che hanno la forza di rimettere a posto qualsiasi cosa (Riprendere Berlino), quelle che lottano con il ritmo senza fargli male (Pochi istanti nella lavatrice) e quelle che, alla fine, hanno un significato tutto loro (E’ solo febbre).

(2008, Universal)

01 Naufragio sull’isola del tesoro
02 E’ solo febbre
03 Neppure carne da cannone per Dio
04 Tarantella all’inazione
05 Pochi istanti nella lavatrice
06 I milanesi ammazzano il sabato
07 Riprendere Berlino
08 Tutti gli uomini del Presidente
09 Musa di nessuno
10 Tema: La mia città
11 E’ dura essere Silvan
12 Dove si va da qui
13 Tutto domani
14 Orchi e streghe sono soli

A cura di Vittorio Bertone