Home RECENSIONI Andy Bell – The View From Halfway Down

Andy Bell – The View From Halfway Down

Che il percorso di Andy Bell sarebbe sfociato, prima o poi, in una prova da solista a tutti gli effetti ce lo aspettavamo da anni, un’evoluzione che stava e sta ancora nel naturale ordine delle cose. Perché con i Ride, con gli ultimi Oasis, con gli Hurricane #1, con i Beady Eye e anche in quel po’ che c’aveva fatto sentire in solitario, Bell s’è sempre dimostrato un musicista fornito di un ottimo gusto, di un’ottima propensione melodica e di una trasversalità non troppo comune nella sua generazione.

The View From Halfway Down questa trasversalità la palesa in ciascuna delle sue otto tracce, perché nella sostanza c’è davvero molto poco di ciò che ha fatto “grande” il suo autore, ovvero in primo luogo lo shoegaze e in seconda battuta il britpop, quanto piuttosto una ricercata matassa di psichedelia, elettronica e alt rock, che pesca indistintamente tra insegnamenti sixties e derive più recenti. E Bell questo pastone ce lo imbocca nel modo giusto, col solito gusto e le solite melodie di cui sopra, quelle che l’hanno reso un riferimento di stile.

A parte episodi più classici come l’iniziale Love Comes In Wave o Skywalker, che tracciano a ritroso il sentiero percorso da Bell (con qualche spruzzata d’elettronica a mischiare le carte qua e là), le sorprese più rilevanti di “The View From Halfway Down” sono senza dubbio Indica, I Was Alone e la conclusiva Heat Haze On Weyland Road, lunghe suite elettroniche − si aggirano tutte sui sette minuti di durata − pressoché interamente strumentali che lanciano Bell in territori insoliti, tra ambient, space rock e proiezioni cinematografiche. E poi Cherry Cola, col suo incedere dinoccolato che è un po’ come se Beck avesse preso il posto di Thom Yorke nei Radiohead.

“The View From Halfway Down” è un album ben confezionato, nonostante Bell avrebbe anche potuto sfrondare qualche passaggio in favore di una maggiore compattezza e, perché no, dell’inserimento di qualche altra traccia magari rimasta fuori. Ma è un disco che rende comunque bene il senso dell’evoluzione del chitarrista dei Ride, la sua propensione per generi tra i più disparati ed evidenzia ancora un tocco che resta riconoscibile anche al di fuori di una comfort zone che, nel suo caso, è tutt’altro che una gabbia.

(2020, Sonic Cathedral)

01 Love Comes In Waves
02 Indica
03 Ghost Tones
04 Skywalker
05 Aubrey Drylands Gladwell
06 Cherry Cola
07 I Was Alone
08 Heat Haze On Weyland Road

IN BREVE: 3,5/5