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Ariel Pink – Pom Pom

pompomAriel Pink nasce nel 1978 a Los Angeles. Nonostante la sua giovane età, ha già all’attivo più di 14 album in studio. Questo è dovuto molto probabilmente alle sue molteplici personalità musicali, ovvero la capacità di suonare più strumenti e creare musica senza possibili categorizzazioni che la inquadrino in un singolo genere. E questo ci piace molto.

Ariel “Marcus Rosenberg” Pink è eclettico in tutto, nell’abbigliamento, nella figura, nella vita e quindi nell’arte. Si dice che abbia fatto studi comparati di erbologia per poi dedicarsi al perfezionamento di un congegno da impiantare nella laringe per fare uscire un effetto tastiera dalle corde vocali. Potrebbe essere scritto questo nella sua biografia, se solo fosse vero. Ma una cosa è certa: è un amante del piano-tastiera. La sua musica varia in modo così consistente che potreste credervi schizofrenici se, ascoltando un suo album e distraendovi per alcuni attimi, pensaste di stare ascoltando adesso un gruppo dark wave (Four Shadows), adesso un gruppo psychedelic folk, adesso il Morrissey post-Smiths (Lipstick).

A volte la sua voce ricorda dapprima David Bowie, un secondo dopo Elvis (One Summer Night) o i Beach Boys (Nude Beach A Go-Go). Le sue influenze sembrano carpire la musica tedesca (White Freckles) come quella americana o quella inglese (Not Enough Violence), non disdegnando l’italiana (precisamente richiami a Franco Battiato) e quella balcanica nell’inizio di Dinosaur Carebears. Pom Pom è una mistura d’influenze rivisitate in chiave personale, c’è da dirlo, e in forma congrua con quello che è il suo messaggio: la glam music. Tutto ciò che ha fatto e fa tendenza è chiaramente “glam”, perciò rilevante. Goth Bomb richiama una metal band anni ’80, con tanto di doppia cassa e flanger finale.

Ma il disco non è tutto rose e fiori, ci sono della parti “trascurabili”, nel senso che non sempre il nostro si impegna al massimo nella creazione di qualcosa di bello, cioè di ascoltabile. In Negativ Ed e Sexual Athletics, ad esempio, si avverte che ciò è dovuto non tanto alla mancanza di idee bensì al dovere di sfogo, per divertirsi e sfogare in tutto e per tutto la propria creatività, inserendola comunque nel disco nonostante il “non bello”. Troviamo episodi molto originali come Black Ballerina, mentre Picture Me Gone è un meta-Ariel-Pink che parla di sé stesso nel momento della morte, anche questo molto glam come l’andatura da ballo, la tastierona river-floating e il fischiettio ad accompagnare la sua salma, mentre lui canta. Ma sbagliamo a citare come meta-Ariel-Pink solo questa canzone, l’intero album è un meta-concetto di sé stesso che imita vari artisti e vari generi musicali.

E’ un continuo citar(si): ora nelle liriche, ora negli accordi di piano o chitarra, nella ritmica di batteria o nelle linee di basso. In fondo il glam è questo, fa uscire da sé stessi l’anima più “mondana” per guardarla passare, enfatizzarla, celebrarla, per metterla al servizio di… te stesso. Ri-crearla e ri-condurla ogni volta, sempre e di nuovo. Quest’album è molto bello, se non s’era capito.

(2014, 4AD)

01 Plastic Raincoats In The Pig Parade
02 White Freckles
03 Four Shadows
04 Lipstick
05 Not Enough Violence
06 Put Your Number In My Phone
07 One Summer Night
08 Nude Beach A G-Go
09 Goth Bomb
10 Dinosaur Carebears
11 Negativ Ed
12 Sexual Athletics
13 Jell-o
14 Black Ballerina
15 Picture Me Gone
16 Exile On Frog Street
17 Dayzed Inn Daydreams

IN BREVE: 3/5