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Big Thief – Two Hands

“Mentre ci prepariamo per andar via, lei prende una foglia da terra. Ha una sfumatura marrone-arancione ai lati, ma al centro una scintilla di verde. Si sta ancora trasformando. La mette nello zaino, nel caso in cui abbia bisogno di un po’ di bellezza durante il suo viaggio”.  Termina così un’intervista fatta ad Adrianne Lenker qualche mese fa. C’è del sublime in questa scena. Nell’immaginarla e nel pensarla allegoria dell’iter artistico dei Big Thief. Ma da quella foresta washingtoniana in cui il quartetto di Brooklyn ha registrato “U.F.O.F.” (2019), Adrianne ha portato con sé molto di più. Prima di ogni cosa l’urgenza intima, emotiva di dare corpo a quanto ideato nel backstage del loro ultimo tour. Nulla a che vedere con l’aspetto commerciale. Un processo creativo impellente e inarrestabile. Motivo per cui dall’urlo dissacrante di “Contact” non poteva nascere un solo disco. A pochi mesi di distanza dalla pubblicazione di “U.F.O.F.” arriva il suo “gemello terreste”, Two Hands.

Ed ecco il paragone fatto pocanzi: “Si sta ancora trasformando”. Fare il confronto con il disco precedente avviene quasi automaticamente e altrettanto istintivamente se ne considera l’evoluzione compositiva. Nonostante ci sia un chiaro ritorno alle sonorità di “Masterpiece” (2016) e “Capacity” (2017), se analizzati nei particolari, gli elementi che legano “U.F.O.F.” e “Two Hands” sono diversi. Di certo la ballad di apertura Rock And Sing è il luogo di transizione adatto per passare dall’ambiente onirico e ultraterreno di “U.F.O.F.” a quello concreto, tattile e per nulla artificioso di “Two Hands”.

L’album è stato registrato quasi interamente dal vivo. Rare sono le sovraincisioni e i pezzi in cui questo accade evidenziano quanto, in questo disco nello specifico, destrutturare un loro lavoro è un processo pressappoco innaturale. È come se ogni componente del gruppo stesse ancora sperimentando la propria parte da inserire in ogni pezzo, una prova. Una prova dannatamente perfetta. Tutto incalza alla perfezione, ogni suono reclama il suo spazio e necessita allo stesso tempo della presenza dell’altro. The Toy ne è la conferma: alla pronuncia di alcuni versi la voce di Adrianne e le corde pizzicate da Meek sembrano ricercarsi e inseguirsi reciprocamente per risuonare all’unisono (pensare a “Strange” è scontato) e, mentre Max scandisce il tempo, l’apertura del charleston di James conferisce una leggerezza necessaria al brano.

L’immagine di copertina parla chiaro sulla connessione che si è oramai instaurata tra di loro e i live ne sono la prova evidente: “A questo punto ci stiamo toccando”, afferma Meek. Adrianne presenta la title track con fare fanciullesco. Falsetto quasi perenne e un arpeggio fresco, ilare. Qui si può ancora sentire l’eco degli effetti e dei cori eterei di “U.F.O.F.”. Quando si entra nel vivo dell’album la voce della Lenker diventa sempre più piena, determinata e saranno i suoi compagni di viaggio a pensare ai cori, a dimostrazione dell’idea autentica alla base della loro produzione.

Gran parte dei brani è degna di nota, quale per le tematiche affrontate (Forgotten Eyes), quale per le sonorità funamboliche (Cut My Hair), ma sono Shoulders e Not in assoluto il cuore del disco. Testi e musiche sono mossi da un crescendo di disperazione che diventa viva in alcuni versi cantati dalla Lenker. Il prolisso assolo di chitarra dalla tessitura grunge con cui termina il secondo pezzo citato racchiude tutto il concetto emozionale con cui è stato pensato l’album. Senza dubbio, fino ad ora, uno dei pezzi migliori dei Big Thief.

Due parole: creatività e istinto. Abbiamo sentito James suonare in sessioni unplugged strati di pietre con dei bastoncini di cannella, visto Adrianne in rare occasioni denudarsi quasi d’istinto dalla sua chitarra per stringere con fare impacciato un microfono, li abbiamo visti registrare in un caravan ed infine stupirci con la pubblicazione inaspettata di un album che rappresenta una valida traccia della loro spiccata fecondità artistica e del loro acume compositivo, in continua evoluzione. Nell’arco di quattro anni circa hanno acquisito gradatamente e tacitamente rinomanza: se fino a poco tempo fa la loro produzione era chiaramente da tener d’occhio, adesso i Big Thief hanno imboccato la giusta direzione per diventare uno dei gruppi più interessanti nell’odierno panorama indie.

(2019, 4AD)

01 Rock And Sing
02 Forgotten Eyes
03 The Toy
04 Two Hands
05 Those Girls
06 Shoulders
07 Not
08 Wolf
09 Replaced
10 Cut My Hair

IN BREVE: 4/5

Logopedista per professione e musicomane a tempo indeterminato. Cantante e pittrice per passione, trascorro le giornate tra dischi e pennelli sparsi per casa.