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Blur – Blur

Bastano davvero pochi ascolti per capire che qualcosa è cambiato. I Blur, gli stessi che qualche anno addietro avevano presenziato al battesimo del britpop, mettono in bella mostra una vena rock finora a malapena abbozzata (ogni riferimento al disco d’esordio, “Leisure”, è puramente casuale), innalzando un sound che di britannico ha solo gli adesivi appiccicati sulle custodie degli strumenti…. la tanto sospirata grande fuga (da un regime stilistico?) alla fine c’è stata. La chitarra di Coxon, lungo le quattordici tracce compongono l’omonimo Blur, procede a briglie sciolte: le citazioni sparse qua e là dei Pavement si contano a fatica, mentre non vi è nessuna difficoltà nel rendersi conto che il nuovo habitat ha fatto sì che l’occhialuto musicista si senta finalmente a suo agio. La fortuna del disco è fatalmente collegata al quella del singolo Song 2, esempio di un punk moderno e sfrondato che addirittura sfonda anche nel territorio dei videogame, divenendo la colonna sonora di un noto arcade calcistico. Ma le sorprese di “Blur” non finiscono qui, basti pensare alle perle lo-fi M.O.R.Chinese BombsBeetlebumMovin o alla particolarissima Essex Dogsche strizza un occhio (e pure l’altro) al Tom Waits d’annata. Se, come abbiamo detto in apertura, la prova chitarristica di Coxon è encomiabile, quella vocale è da applausi a scena aperta: You’re So Great, ballata folk a cavallo tra Neil Young e Bob Dylan, è una vera e propria prova generale di ciò che il nostro farà con il suo primo lavoro solista “The Sky Is Too High” (Transcopic Records). In cinquantasette minuti i Blur hanno cancellato e riscritto la loro storia mettendo in evidenza quattro punti nodali: a) la band ha mezzi e strumenti necessari per puntare in alto; b) Coxon è il quid pluris che può fare la differenza; c) negli Stati Uniti i Blur non sono più un oscuro oggetto del mistero; d) d’ora in avanti le scaramucce con gli Oasis saranno solo un ricordo lontano… a queste faranno comunque fronte, anche seppur sedate in un primo momento, quelle interne. E’ evidente come il punto “d” sia in aperto contrasto con quello “a”, e la storia saprà spiegare anche il perché. Probabilmente è il miglior album della loro carriera, e paradossalmente quello dove il peso artistico di Albarn si sente di meno. Consigliato.

(1997, Food)

01 Beetlebum
02 Song 2
03 Country sad ballad man
04 M.O.R.
05 On your own
06 Theme from retro
07 You’re so great
08 Death of a party
09 Chinese bombs
10 I’m just like a killer for your love
11 Look inside America
12 Strange news from another star
13 Movin’ on
14 Essex dogs

A cura di Vittorio Bertone