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Bonnie ‘Prince’ Billy – The Letting Go

The Letting Go: scientificamente (e banalmente) detto, fase successiva a un evento doloroso in cui, dopo il buio della disperazione, fa seguito una graduale accettazione delle cose. Titolo che forse esprime al meglio un accenno di cambiamento nello stile compositivo del songwriter di Louisville dopo l’oscuro capolavoro di “I see a darkness”: l’introspezione e l’amarezza lasciano talvolta posto a sprazzi di contemplativa serenità, con l’amore, vissuto, che subentra prepotentemente nelle liriche. Registrato in Islanda, patria di Bjork e Sigur Ros, affiancato dalla voce di Dawn McCarthy e una nuova sezione d’archi, lo stile risente del cambiamento ambientale acquisendo una suggestione nordica ed impressionista fino allora sconosciuta, richiamando spazi sconfinati ma riuscendo a mantenere un equilibrio tra dolcezza ed intimità. Love Comes To Me, aperta da una dolce progressione di accordi acustici e tamburi, è un inno all’amore dispiegato sotto un’alba che pervade l’orizzonte di nuova luce. Una quiete sempre sottomessa alla voce di Oldham, ammaliante anche sotto il sole. La stessa atmosfera impregna Strange Forms Of Life di riflessi di ghiaccio e distese innevate, dove il placido andamento iniziale trabocca, tra scintillii di chitarra, in un crescendo vocale di suggestioni epiche. Un minimalismo fiabesco fa contorno alle due voci in Wai: subito impercettibile, Dawn McCarthy si inserisce paziente con fare misurato e grazia d’altri tempi tra le righe fino a raggiungere la sospirata simbiosi vocale sul finire. Episodio atipico del disco, Cursed Sleep, tende l’eterna disarmonia tra chiarore ed oscurità: archi fluttuanti tra le rondini e una voce ancorata a terra. In bilico tra dannazione e redenzione, “Cursed Sleep” potrebbe essere la trasposizione di un’opera di Magritte (“And in my dream she sang so sweetly / a melody I hope to sing / So enslaved by her sweet wonder / it cut my legs and fingered hunger”). Dopo quattro canzoni di tanto elevato spessore espressivo, è normale fermarsi un attimo e sospirare. No Bad News gioca sulle variazioni di tempo per cristallizzare un’attesa imminente, mentre Cold & Wet è un evidente richiamo al lamento blues di Robert Johnson. Nonostante non manchi qualche riempitivo, non si ha mai la sensazione che venga meno l’intimità quasi nevosa che permea l’album: la spoglia Big Friday, con cesellati arpeggi di chitarra acustica, incanta nel suo candore invernale (“You snuggled to me on the ground in the winter / and your breath smelled like honey / in the frosty air wake”). Fa seguito la gioiosa Lay And Love, con le percussioni a suggerire un clima festoso, mentre in The Seedling s’osserva un inedito Will Oldham indossare vesti familiari al Nick Cave più abrasivo e cupo in un’atmosfera funesta. Una delle più commoventi code di sempre si manifesta in I Called You Back: il rumore immobile di una batteria, un pianoforte a rarefare l’aria, una chitarra country che dona due unici ma splendidi contrappunti, due voci a dilatare un tempo che è esistito ovunque e da nessuna parte, semplicemente è. E proprio quando sembra che il disco abbia esaurito ogni parola, l’ultimo meraviglioso colpo di coda: Ebb Tide. Frastagliati colpi di chitarra dal sapore jazz a disegnare una struggente contemplazione, con una ormai palpabile brezza a guidare un cuore turbolento verso l’agognato abbraccio.

(2006, Drag City)

01 Love Comes To Me
02 Strange Form Of Life
03 Wai
04 Cursed Sleep
05 No Bad News
06 Cold & Wet
07 Big Friday
08 Lay And Love
09 The Seedling
10 Then The Letting Go
11 God’s Small Song
12 I Called You Back
13 Ebb Tide (bonus/hidden track)

A cura di Andrea Scatasta