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Braids – Native Speaker

Il Canada, fucina di interessanti esemplari indie, ne sforna un altro dei suoi. Stavolta sono i Braids a far breccia all’esordio su lunga distanza con Native Speaker tre anni a ridosso dell’extended play “Set Pieces”, dischetto già carico di belle promesse. Poco più che ventenni, questi quattro ragazzi di Montreal equamente ripartiti tra ambo i sessi infiocchettano sette morbide composizioni dalle mutevoli tonalità pastello tenendo un piede nel dream pop e un altro con due dita e mezzo nell’indie e altrettante nel post-rock. Arrangiamenti ben elaborati ed eleganti che mai tracimano nell’ampolloso valorizzano una scrittura lineare ma molto ricercata nell’impianto melodico, con Raphaelle Standell-Preston che sale in cattedra con la sua voce squillante e perfetta nell’amalgamarsi a ciò che il resto della cricca intesse ai suoi piedi (da tenere d’occhio le liriche, a momenti davvero oscene, della tastierista Katie Lee). Si può scomodare la solita Bjork, ormai un cliché quando si trattano certi suoni, ma si potrebbero citare parecchi altri nomi che si affacciano durante l’ascolto: i Pram di “Sargasso Sea” nelle rifrazioni sonore di Same Mum ad esempio, o anche Bat For Lashes, ma non ci va di sottrarre i giusti meriti ai Braids. Il trotto di Lemonade, che si tramuta in cavalcata che d’improvviso s’arresta per dissolversi tra i sottili cirri che ornano il cielo come piccoli sorrisi sognanti, già puntualizza entro quali atmosfere e spazi stilistici ci muoveremo. Se Plath Heart ha un candore quasi ingenuo, come se ci si ritrovasse a saltellare in un terso paesaggio da fiaba in uno studio televisivo in mezzo a colorate sagome di cartone (ma anche Little Hand ha la sua anima ludica), la title-track è avvolta nella stessa traslucida placenta sonora dei Lamb. Glass Deers è sospesa a decine di metri dal suolo e percorre in equilibrio la stessa corda della funambola Fever Ray, ed è sulla stessa scia l’affascinante Lammicken, racchiusa in una gabbia di Faraday in mezzo ad una lieve perturbazione dai lampi chimici. Brani lunghi e fluidi e carichi di immagini dalle forme e tonalità in continuo mutamento, “Native Speaker” lascia presagire sviluppi futuri parecchio interessanti. Siamo certi però che i colori nella tavolozza in possesso ai Braids non sono ancora stati del tutto impiegati, attendiamo quindi il prossimo affresco per iscriverli nel nugolo dei nuovi ottimi paesaggisti.

(2011, Kanine Records)

01 Lemonade
02 Plath Heart
03 Glass Deers
04 Native Speaker
05 Lammicken
06 Same Mum
07 Little Hand

A cura di Marco Giarratana