Home RECENSIONI Deaf Wish – Lithium Zion

Deaf Wish – Lithium Zion

Dopo i Rolling Blackouts Coastal Fever la Sub Pop pesca di nuovo in Australia con l’ultimo disco dei Deaf Wish, il quarto della band e il secondo pubblicato dalla storica label e intitolato Lithium Zion. Inevitabile, a partire dal titolo, la ricerca da parte degli appassionati di possibili accostamenti e richiami a esperienze storiche relative al boom della Sub Pop negli anni Novanta, in primis i Nirvana, ma questi tentativi sono per lo più inutili, dato che ci troviamo davanti a qualcosa di completamente diverso dal sound in voga in quegli anni, ma non per questo meno interessante. Al contrario. Del resto è forse ora di rendersi conto che una determinata fase storica si è conclusa e che non c’è stato nessun ante o post, ma hanno sempre continuato a uscire buoni dischi di musica rock con spunti originali e una freschezza che si rinnova nel tempo.

Quello che si è ampliato ed è diventato più vario è poi sicuramente il ventaglio delle proposte, ma questo è un dato positivo, così come è inevitabile che si vada a ricercare qualcosa di diverso, magari staccandosi dal solito bacino di riferimento. Questo spiega un po’ l’attenzione verso un Paese come l’Australia, che del resto non è nuovo per le proposte relativamente a un certo sound punk/garage e che negli anni Ottanta ha invero prodotto alcuni dei momenti più significativi del genere, basti se non altro pensare a tutto il giro legato attorno alla figura centrale di Nick Cave e poi sviluppatosi con un’onda lunga fino al Regno Unito e gli Stati Uniti d’America.

Il post punk garage noise dei Birthday Party (Ox), oppure quello più cavernoso di Crime And The City Solution, Rowland S. Howard (Hitachi Jackhammer, Deep Blue Cheated) e poi un gruppo come i Jacobites dove Epic Soundtracks contribuiva sicuramente a limare la verve punk di Nikki Sudden, fino all’espressionismo di Lydia Lunch (FFS, Metal Carnage), sono i principali riferimenti che si possono cogliere nel sound di un gruppo come i Deaf Wish, che sicuramente non badano tanto ad alcuna estetica o forma quanto alla sostanza.

Non ci troviamo di fronte a una pietra miliare, ma dubitiamo che lo scopo di un album come questo e di un gruppo i cui componenti si disimpegnano anche in attività lavorative diverse da quella di musicista a tempo pieno, sia quello di scrivere la storia della musica, quanto invece quello di sfogare la propria aggressività punk e quella vena blues che abbiamo tutti e che sta sempre sul punto di scoppiare. Vena che qui è a volte tagliente come quelle laminature wave e post punk, altre rumorista secondo una rilettura brutale del rock ‘n’ roll degli Stones e altre persino sfumata in un revisionismo più facile della no wave meno intellettuale.

“Lithium Zion” non è un capolavoro, ma sta sul pezzo e mantiene la tensione alta dall’inizio alla fine e questo conta più di tante altre considerazioni che si possono fare sul piano della qualità delle registrazioni e della complessità delle composizioni.

(2018, Sub Pop)

01 Easy
02 FFS
03 Metal Carnage
04 The Rat Is Back
05 Ox
06 Hitachi Jackhammer
07 Lithium Zion
08 Deep Blue Cheated
09 Birthday
10 Afraid For You
11 Smoke

IN BREVE: 3/5

Sono nato nel 1984. Internazionalista, socialista, democratico, sostenitore dei diritti civili. Ho una particolare devozione per Anton Newcombe e i Brian Jonestown Massacre. Scrivo, ho un mio progetto musicale e prima o poi finirò qualche cosa da lasciare ai posteri. Amo la fantascienza e la storia dell'evoluzione del genere umano. Tifo Inter.