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Deftones – Diamond Eyes

In principio, c’era “Eros”. Le aspettative per questo album non erano molto alte, probabilmente perchè gli ultimi due lavori erano, sì, discreti, ma decisamente lontani dagli standard di “Around The Fur” e “White Pony”. L’omonimo non aveva un filo conduttore, mentre “Saturday Night Wrist”, pur presenti dei curiosi spunti post-rock, risentiva troppo dei conflitti interni della band, che in quel periodo era ad un passo dallo scioglimento. I Deftones, insomma, sembravano aver smesso di stupire. Improvvisamente, poco prima della sua uscita prevista per l’inverno del 2008, il bassista Chi Cheng è vittima di un grave incidente automobilistico, entrando in un coma dal quale non è ancora uscito. A questo punto le opzioni che i rimanenti membri della band potevano scegliere erano poche: potevano vilmente decidere di pubblicare l’album facendo finta che non fosse successo niente, oppure sciogliersi. Invece hanno preferito fare una scelta forse un po’ inaspettata, cioè quella di accantonare “Eros” fino al risveglio di Chi, sostituendolo temporaneamente con Sergio Vega (ex Quicksand), e di registrare un nuovo album ad hoc, forti di questa esperienza. Questo è il retroscena che si cela dietro Diamond Eyes, l’ultima fatica edita dai Deftones nel 2010. Il disco parte da dove li avevamo lasciati con i due lavori precedenti, correggendone subito i difetti, grazie ad un songwriting ispiratissimo come non lo era da almeno dieci anni. L’uso di una otto corde da parte di Stephen Carpenter ha irrobustito di molto il sound, rendendo la distorsione ancora più pesante di quella usata in “Around The Fur”. E’ qui che le influenze Meshuggah, tanto chiacchierate ma di fatto quasi inesistenti in “Saturday Night Wrist”, prendono forma, e canzoni comeCMND/CTRLRocket Skates ne sono la prova. Tuttavia i momenti heavy non hanno più quella urgenza hardcore presente in “Hexagram” o “Rapture”, ma sono più controllati, guadagnando molti punti in più nelle canzoni, specie se contrapposti ad una voce soave e melodica come quella di Chino Moreno, che in questo disco regala una delle sue migliori perfomance, probabilmente dovuta alla sua notevole perdita di peso. Il contrasto è netto, ma assolutamente funzionale, a partire dall’opening che è un perfetto esempio e conferma quanto dichiarato dalla band di voler scrivere un album ottimista e spensierato, dato che l’atmosfera è relativamente leggera ma godibile. Naturalmente non mancano le sperimentazioni, è il caso di You’ve Seen The Butcher, un brano che rasenta lo sludge ed è arricchito da tinte blues nel refrain, riuscendo, pur nella sua atipicità, ad incastrarsi perfettamente tra i restanti brani, sostituendo così quei contentini di elettronica simil-Teenager al quale la band, purtroppo, ci stavano abituando. Da menzionare anche il dittico finale 976-EVILThis Place Is Death: la prima è il momento più epico raggiunto nel disco, grazie anche all’ottima interpretazione vocale di Chino, al punto di surclassare il pur buono ending “This Place Is Death” in un outro, ma proprio da ciò nasce la loro complementarietà. “Diamond Eyes”, nel complesso, è un album che non delude le aspettative e dimostra come i Deftones abbiano ancora qualcosa da dire, attestando di essere uno dei pochi gruppi di quel movimento volgarmente chiamato nu-metal ad uscirne sempre a testa alta. Possiamo considerarlo a tutti gli effetti come il disco della seconda maturità.

(2010, Reprise)

01 Diamond Eyes
02 Royal
03 CMND/CTRL
04 You’ve Seen the Butcher
05 Beauty School
06 Prince
07 Rocket Skates
08 Sextape
09 Risk
10 976-EVIL
11 This Place Is Death

A cura di Antonio D’Alessandro