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Emma Ruth Rundle – Some Heavy Ocean

someheavyoceanNote biografiche obbligatorie. Californiana, Emma Ruth Rundle ha un curriculum di tutto rispetto. Ha preso parte a progetti interessanti come Marriages, The Nocturnes (autori dei bellissimi “A Year Of Spring” del 2008 e “Aokigahara” del 2011) e, non ultimi, quei Red Sparowes di cui ricorderemo almeno due album di sopraffino post-rock. Trovandosi in tour in Europa tra ottobre e novembre nel 2010, la Rundle registra sul tour-bus le 7 tracce comprese nel suo primo lavoro in proprio, intitolato senza troppi sforzi creativi “Electric Guitar I”, autoprodotto e pubblicato su Bandcamp. Niente voce, solo grumi elettrici, melodie rudimentali e feedback, acquerelli astratti avant-psycho-chitarristici che sono solo un divertissement più che un reale progetto artistico, forse anche perché esiste già un Loren Mazzacane che stronca ogni velleità. E forse la Rundle capisce che è meglio riscoprire le proprie radici melodiche.

Superate quindi le tentazioni sperimentali, la chitarrista americana si mette di buona lena e partorisce Some Heavy Ocean, 10 canzoni in cui metterci faccia e voce. E il risultato è inatteso, in senso positivo. Strutture molto semplici con strofa-ritornello, sempre alla ricerca di quel guizzo melodico che mira a farsi ricordare, senza però rinunciare a una dignità cantautorale.

Il nuovo corso della Rundle è parente stretto di quella Chelsea Wolfe (tra l’altro, sua compagna d’etichetta) che da un anno a questa parte è diventata matrigna degli orfani di Siouxsie e Hope Sandoval (ma erano già tre anni che la cara Chelsea spargeva il suo pregiato seme, per chi non se ne fosse accorto). Si gioca coi riverberi in questi piccoli inni alla malinconia. C’è la vena confidenziale di Marissa Nadler nei fingerpicking di Arms I Know So Well e Oh Sarah (che parte sulle stesse note e tonalità di “Dead City Emily” della Nadler), c’è il tono epico dei Fleet Foxes nel ritornello di Shadows Of My Name, c’è Sinead O’Connor appostata dietro l’angolo nell’elegia dimessa di Haunted Houses, c’è una piccola puntata nei territori dei The Nocturnes in Run Forever.

Insomma, s’intercettano numerose influenze, ma la Rundle ha la maturità necessaria per non cadere nel didascalico o nell’emulazione senza nerbo. In sede d’arrangiamento è sempre presente una ricerca che s’è sentita spesso nei dischi di Tori Amos e PJ Harvey. Paragoni scomodi, è vero, ma non del tutto distanti dalla realtà. Provare per credere.

(2014, Sargent House)

01 Some Heavy Ocean
02 Shadows Of My Name
03 Your Card The Sun
04 Run Forever
05 Haunted Houses
06 Arms I Know So Well
07 Oh Sarah
08 Savage Saint
09 We Are All Ghosts
10 Living With The Black Dog

IN BREVE: 4/5