Home RECENSIONI Fat White Family – Songs For Our Mothers

Fat White Family – Songs For Our Mothers

songsforourmothersUn corposo assaggio della pasta di cui sono fatti i Fat White Family lo avevamo già avuto con il loro esordio del 2013, “Champagne Holocaust”, un gorgo marcescente fatto di violenza, rabbia, sesso, disagio, morte e malattia che evidenziava la precisa scelta estetica di una band che non aveva alcuna voglia di sottostare a compromessi artistici, niente mezze misure. Un estremismo espressivo, il loro, trasposto poi sul palco e impersonato dalla figura del frontman Lias Sadi.

Col sophomore Songs For Our Mothers la formazione inglese alza ulteriormente il tiro, calibrando il proprio sound su atmosfere incredibilmente più claustrofobiche e buie dell’esordio. Difficile da credere che “Heaven On Earth” o “Special Ape”, due dei pezzi forti del precedente lavoro, potessero avere un seguito che ne amplificasse talmente i tratti distintivi, tanto erano stati rasentati i limiti in “Champagne Holocaust”.

Eppure è successo: c’è psichedelia ancor più marcia mischiata a sintetizzatori di pari valore (è il caso di Satisfied, co-prodotta da Sean Lennon, e Hits Hits Hits), c’è sempre quell’intricato groviglio di country sbilenco e blues dei sobborghi che è un po’ il perno della proposta della band (Lebensraum, ma anche Goodbye Goebbels), c’è new wave dai tratti spettrali (Duce) venata da strati noise e rumorismi industriali (We Must Learn To Rise), c’è persino un surreale valzerino (When Shipman Decides) che la dice lunga sulla strafottenza di una band che, al contempo, sa anche come essere catchy senza perdere forza impattante (vedi il singolo Whitest Boy On The Beach).

E poi ci sono le lyrics, che accentuano sensibilmente il senso di straniamento dell’intero album, per lo più motivetti ripetuti in modo ossessivo fino al raggiungimento dello scopo prefissato: disturbare la mente e rendere irregolare il battito cardiaco dell’ascoltatore. Nella parabola dei Fat White Family, “Songs For Our Mothers” non torna indietro neanche qualche centimetro giusto per prendere la rincorsa, confermando la band fra le realtà più interessanti in circolazione, tanto in studio quanto dal vivo, cosa affatto scontata.

(2016, Without Consent)

01 Whitest Boy On The Beach
02 Satisfied
03 Love Is The Crack
04 Duce
05 Lebensraum
06 Hits Hits Hits
07 Tinfoil Deathstar
08 When Shipman Decides
09 We Must Learn To Rise
10 Goodbye Goebbels

IN BREVE: 4/5