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Foxygen – Hang

Quando esplosero nel 2013 con “We Are the 21th Century Ambassadors Of Peace & Magic” i critici meglio informati riconoscevano nell’album qualità eccellenti. Influenzato da Stones e Kinks, ma con una personalità ben definita che impediva che si potesse banalmente classificarli come imitatori. Tecnicamente validi, capaci di scrivere grandi canzoni, carismatici.

I critici, però, dicevamo, erano i meglio informati, e quindi tentennavano nell’endorsement, perché i Foxygen sono rock’n’roll nel vero senso della parola: droghe, liti, autodistruzione sono stati tanto all’ordine del giorno che il tour del 2015 è stato scherzosamente (ma forse non troppo) denominato “The Farewell Tour”. Questo Hang, quindi, era un album molto, molto atteso. Del resto il famoso “futuro del rock” dovrà pur essere qualcuno. L’attesa è stata senz’altro ripagata, ma non con la moneta che in molti s’aspettavano, non con un altro album di rock vagamente psichedelico con un cantante vagamente jaggeriano. No, non i Foxygen, i Foxygen che avevano presentato lo scorso album (il doppio “…And Star Power” del 2014) dicendo che non volevano fare album di otto canzoni con troppe idee concentrate in ognuna di esse.

Chiaramente, “Hang” è un album di otto canzoni con un milione di idee concentrate in ognuna di esse, ma c’è di più: psichedelia, glam, Stones non si trovano neanche a cercarli con il lanternino. L’album è stato definito “disneyano”, con stramaledette pomposissime show tunes ricche di parti multiple, un’orchestra di 40 elementi e Sam France che abbandona la consueta arroganza jaggeriana per vestire i panni di Bowie in “Young Americans” o di Meat Loaf, in base all’occasione. E, che Dio ci aiuti, lo fa in maniera straordinaria.

Supportati da Steven Drozd dei Flaming Lips, Matthew E. White, i fratelli D’Addario (i Lemon Twigs) e Trey Pollard che dirige l’orchestra, France e Rado iniziano con Follow The Leader, straordinario pezzo pop che rimanda ai fasti della Electric Light Orchestra, e non si fermano finché non sono stramazzati al suolo in Rise Up, un anthemico inno meatloafiano nel quale France dichiara, stremato dalla potenza dell’interpretazione: “It’s time to wake up early / Start taking care of your health / And start doing all the hard things / And believe in yourself / And follow your own heart / if nothing else”. Sarà serio? Ci starà prendendo per il culo?

Ed è una domanda che sorge spesso durante l’ascolto dell’album, durante America, eccellente mini operetta che ha per incipit “Merry Christmas from the pines / Hallelujah, amen”, durante Avalon, che sembra un pezzo degli ABBA, durante Trauma, nella quale riemergono Bowie e Lou Reed. Ed è forse una domanda rispetto alla quale non troveremo mai una risposta, se una risposta davvero esiste.

Quel che conta è che i Foxygen hanno (nuovamente) stupito con un album fuori dagli schemi, scritto in maniera eccellente e mai ripetitivo o noioso, che non difetterà di stizzire numerosi puristi dello psych o di fare incazzare innumerevoli critici. Ma che si fottano: non c’è niente di più di rock’n’roll che mandare tutti affanculo e fare di testa propria. Se poi a ciò aggiungiamo che la musica, complicata ed eccessiva, esagerata e teatrale, è eccellente, forse abbiamo trovato degli eroi. Speriamo solo che durino abbastanza da arrivare al prossimo album.

(2017, Jagjaguwar)

01 Follow The Leader
02 Avalon
03 Mrs. Adams
04 America
05 On Lankershim
06 Upon A Hill
07 Trauma
08 Rise Up

IN BREVE: 4,5/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.