Home RECENSIONI Gary Clark Jr. – The Story Of Sonny Boy Slim

Gary Clark Jr. – The Story Of Sonny Boy Slim

thestoryofsonnyboyslimInizia con una field song questo The Story Of Sonny Boy Slim, facendo così credere a qualcuno di essere un’opera blues, un sollazzo per i puristi da parte del nuovo enfant prodige della chitarra, salito alla ribalta con “Blak And Blu” nel 2012. Ma anche con “Blak And Blu”, Gary Clark Jr. i puristi li ha sempre fatti un po’ incazzare: “è bravo ma non si applica” ti potrebbe dire un purista del blues, in autentico stile riunione con i genitori.

Punti di vista che potrebbero non essere condivisi da molti: da un lato c’è questo straordinario chitarrista, in un’epoca dove il talento chitarristico è considerato quasi uno stigma. I suoi assoli sono sempre interessanti, hanno cuore, sono ben suonati e intelligenti senza mai scadere nel tecnicismo che ha isolato in un angolo (talvolta ampio e confortevole, come nel caso di Bonamassa) i grandi chitarristi della nostra epoca. La sua ritmica è eccellente in ogni senso: suono, tecnica, tempo. Ed ha pure una grande voce, eclettica, malleabile, un falsetto da brividi che evoca Prince e Marvin Gaye e una voce piena, ricca di colore e calda.

Dall’altro lato il ragazzo tiene il blues in conto, ma in mezzo a un delirio di altre influenze: domina infatti il soul in questa seconda uscita su major, ma non manca l’RnB funkeggiante di Hold On o il feel jazzato di Star. Ci sono vaghe tracce di blues, lasciate soprattutto negli assoli a tratti hendrixiani, ma il mix non privilegia la chitarra e in alcune occasioni quest’ultima viene seppellita da un rullante feroce, aiutato dalla cassa, quasi violenta, e da un basso che sembra fatto apposta per far tremare i vetri di casa, come nella disco-funk Can’t Sleep. E che si badi bene, questa è una scelta, non una coincidenza o un errore, perché Gary, il Sonny Boy Slim (dal soprannome con il quale lo chiamava la madre da piccolo) del titolo, voleva l’album to be bangin’, per usare le sue parole. Anche l’uso dell’armonica, confinata in Church, sembra più quello di un musicista folk della New York anni ’60 che non del Mississippi anni ’40.

È comprensibile quindi come ‘sti benedetti puristi, ai quali è rimasta la misera Shake, con tanto di slide e chitarra mixata come Iddio (che sarebbe poi Muddy Waters) comanda, siano un po’ irritati. Ma con buona pace dei puristi, i musicisti, gli artisti non sono al servizio di questo o quel dogma e si esprimono per quel che sentono proprio: Gary Clark sente proprie talmente tante di quelle cose che sarà difficile vederlo limitarsi a un aspetto della sua cultura musicale. E proprio la citata “Shake” sembra un po’ un filler, un pezzo blues un po’ by numbers, quasi caricaturale, un contentino per i rompicoglioni.

Nonostante un livello qualitativo mediamente molto alto, però, si affaccia più volte la noia nel corso dei 53 minuti (l’apice della noia si raggiunge nei sette e rotti di beat sintetico e tastiere indie di Down To Ride), la scrittura si perde in una sorta di limbo del cercare il suono giusto, dello sperimentare soluzioni e generi diversi.

Molti pensano che “Blak And Blu” sia l’esordio di Gary Clark, ma un LP indipendente e due LP autoprodotti lo hanno preceduto: è evidente un graduale abbandono del blues che dominava indiscusso agli esordi a favore dell’esplorazione di un suono diverso, possibilmente più commerciale (6° su Billboard è finora il miglior risultato ottenuto), possibilmente più affine rispetto all’ampliamento degli orizzonti di Gary. Gli album che i puristi vorrebbero, Gary li ha già fatti anni or sono ed è assolutamente giusto che voglia guardare avanti invece di restare chiuso in una nicchia.

Ma, ascoltando i dischi passati, o questo (ma prestando veramente molta attenzione), o persino le comparsate in tributi come quello a Stevie Wonder dove ha suonato “Higher Ground” con (bleah) Ed Sheeran e una straordinaria Beyoncé, se ne deduce che questo ragazzo è un chitarrista assolutamente straordinario, non l’eroe che ci meritiamo, ma l’eroe di cui avremmo bisogno. Quindi, Gary, buon uomo, facci la cortesia, concilia quel che facevi con quel che fai e non vergognarti di essere un chitarrista prima di qualunque altra cosa. Dacci quel capolavoro che ti chiediamo, se non è troppo disturbo. Che sia blues, soul, hip hop, fidati, non gliene fregherà una mazza a nessuno.

(2015, Warner)

01 The Healing
02 Grinder
03 Star
04 Our Love
05 Church
06 Hold On
07 Cold Blooded
08 Wings
09 BYOB
10 Can’t Sleep
11 Stay
12 Shake
13 Down To Ride

IN BREVE: 3,5/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.