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Giardini di Mirò – Different Times

Sei anni sono un soffio, anzi no. Non lo sono più. Ormai sei anni sono come dieci, quindici, venti in questo pasticcio di mondo chiamato modernità. Sei anni fa “Good Luck” dei Giardini di Mirò era una sorta di cabala del futuro. Buona fortuna a tutti, si salvi chi può: buoni, cattivi, gente comune come noi appassionata di chitarre liquide e silenzi.

Oggi la band è di nuovo qui perché la fortuna l’ha cavalcata e il tempo lo ha usato in maniera esemplare: mai fermi, sempre in movimento, ognuno con i propri progetti solisti, ognuno con un pugno di musica da approfondire. È per questo che Different Times sembra essere arrivato dopo un lasso di tempo brevissimo, nonostante siano passati sei anni (o forse dieci, quindici, venti). I tempi corrono, passano. Si fanno differenti. Cambiano, ti cambiano. Il post-rock (forse) non c’è più e il peso si affievolisce, così come gli indici di chi se la prendeva contro certi generi musicali altezzosi (o semplicemente incomprensibili ai più).

Oggi i Giardini di Mirò non sono più una post rock band, oggi sono un gruppo rock delicato, intenso. Un gruppo di musica densa, un po’ strumentale, un po’ no, il cui unico interesse è grattare la superficie delle cose, senza preoccuparsi di quel che c’è sotto: nero, aria, dolcezza, impeto, malinconia.

Non fosse così, nella nuova tracklist, non ci sarebbe una canzone tonda, rotonda, meravigliosa come Don’t Lie con alla voce Adele Nigro. Non fosse così Hold On non racconterebbe una storia di sofferenza con le parole di Robin Proper-Sheppard (Sophia), non fosse così Glen Johnson (Piano Magic) non sussurrerebbe sopra l’elettronica metallizzata di Failed To Chart.

I tempi sono cambiati, si diceva. I Giardini di Mirò con un colpo di magia aprono il soffitto per ricercare raggi di sole. Usano gli strumenti come impasto, non come dichiarazione d’intenti. Granelli di chitarre, eco, violino, ritmiche, elettroniche. Tempi diversi, ritmi. Qualche sali-scendi, certo, ma anche il senso della stasi lunga o della canzone classica.

Il post rock c’è, ma è un sottinteso che piace da morire. Basta. Punto. Adesso ascoltiamo. E ora fate quel che volete cari Nuccini, Jukka & co.: aspettate altri sei anni o dieci o venti, a patto che torniate sempre così.

(2018, 42 Records)

01 Different Times
02 Don’t Lie (feat. Adele Nigro)
03 Hold On (feat. Robin Proper-Sheppard)
04 Pity The Nation
05 Failed To Chart (feat. Glen Johnson)
06 Void Slip
07 Landfall
08 Under
09 Fieldnotes (feat. Daniel O’Sullivan)

IN BREVE: 4/5