Home RECENSIONI Gorillaz – Song Machine, Season One: Strange Timez

Gorillaz – Song Machine, Season One: Strange Timez

Nonostante tutto l’affetto che si possa provare nei confronti di un progetto d’alto livello come quello dei Gorillaz, non si può che constatare che, se la discografia della band fosse un grafico, sarebbe una linea in picchiata verso il basso. Dopo due album seminali come “Gorillaz”, del lontano 2001, e il seguente “Demon Days” (2005), una summa della controcultura inglese anni ’90 tra dub, hip hop, elettronica big beat e l’esperienza brit pop dei Blur, l’ispirazione rivoluzionaria che aveva contraddistinto i primi passi della band virtuale capitanata da Damon Albarn si è pian piano affievolita, lasciando sempre meno aspettative ed interesse nei fan. Dopo il buon concept album “Plastic Beach” (2010), sono arrivati i due lavori più anonimi e meno attesi dei Gorillaz, e sfido chiunque a ricordarsi anche solo uno o due pezzi significativi da “Humanz” del 2017 o “The Now Now”, uscito in fretta e furia l’anno seguente con molte poche cose da dire.

Date queste premesse, è facile capire quale fosse lo spirito con cui nel Gennaio 2020 ci si è accostati al nuovo annunciato progetto “Song Machine”: l’idea iniziale era una sorta di web series composta da singoli pubblicati a cadenza mensile con relativi video, elemento che a differenza della musica non ha mai mancato di qualità e fascino, grazie al genio di James Hewlett. Brano dopo brano, usciti in parallelo a una serie di corti e scenette (chiamati “Machine Bitez”) che sinceramente non si sa quanto seguito e successo abbiano avuto sul web, i Gorillaz hanno deciso di mettere insieme tutte le canzoni pubblicate in una tracklist per un inaspettato album, Song Machine, Season One: Strange Timez, che come si può evincere dal titolo potrebbe essere solo il primo capitolo di una serie di nuovi lavori discografici.

Sarà che l’album è un non-album, fatto di canzoni concepite come singoli indipendenti e svincolati dall’idea di un progetto unitario (cosa che non riesce da tempo alla band di Albarn, come abbiamo potuto notare), sarà che le collaborazioni sono di prima qualità, ma con “Song Machine” ci troviamo nelle orecchie alcune delle canzoni migliori mai pubblicate dai Gorillaz, al pari dei classici di inizio carriera. Lo stesso Albarn è d’accordo con questa opinione dal momento che ha dichiarato “questo è uno degli album migliori che abbia mai fatto”. Il singolo è tradizionalmente il brano “più forte” dell’album, e dal momento che “Song Machine” è composto da brani concepiti come singoli e creati separatamente, non poteva che venire fuori una bomba. Ben lontano dal mappazzone sonoro senza guizzi di “The Now Now”, qui torna un fantastico mix di tantissimi generi musicali differenti, che col bollino “Gorillaz” diventano però un prodotto coerente e riconoscibile, a cui si aggiungono i colori di voci vecchie o emergenti.

Le collaborazioni, dicevamo: sembra che a ‘sto giro non manchi proprio nessuno, tra leggende del pop e giovani protagonisti dell’underground inglese. Ci sono, tra i tanti, la voce deliziosa di Fatoumata Diawara in Désolé; gli Slaves e il rapper Slowthai nello ska punk digitale Momentary Bliss, primo singolo arrivato ad inizio anno; Robert Smith nel pezzo di apertura della scaletta Strange Timez, che potrebbe tranquillamente essere l’inno ufficiale del 2020 (“Spinnin’ around until the sun comes up / Strange time to see the light / Strange time to be alive”); un Beck particolarmente divertente e solare in The Valley Of The Pagans; e poi ancora Peter Hook e il suo basso suadente in Aries, le apparizioni nascoste di St. Vincent (Chalk Tablet Towers) e Joan As Police Woman (Simplicity), e in fondo alla scaletta la cupa How Far, con Skepta e il batterista Tony Allen, in una delle sue ultime apparizioni discografiche prima della triste scomparsa avvenuta lo scorso 30 Aprile.

Uno dei pezzi più rappresentativi di questo rinascimento per la band virtuale britannica si trova però a metà scaletta: l’artista r’n’b 6Lack, classe 1992 e ricoperto di autotune, si incastra nelle strofe di The Pink Phantom con la voce pulita di Sir Elton John, in un incredibile cortocircuito tra passato e presente, tra grime e una ballata al pianoforte (ed Elton John in versione Gorillaz nel video del brano è una delle cose più belle dell’intera annata musicale).

Se sembra inevitabile parlare in ogni recensione di quanto abbia fatto schifo la vita ultimamente, allora tocca ricordare che stiamo sopravvivendo anche grazie a grandi dischi come questo, che quanto meno tengono su il morale e danno speranza in vista di un futuro di concerti, festival e musica dal vivo, tanto che il tour europeo dei Gorillaz è già ben che confermato. 2D, Murdoc, Noodles e Russel sono rinsaviti nel momento più opportuno, con un non-disco che è probabilmente uno dei migliori dischi dell’anno.

(2020, Parlophone)

01 Strange Timez (feat. Robert Smith)
02 The Valley Of The Pagans (feat. Beck)
03 The Lost Chord (feat. Leee John)
04 Pac-Man (feat. ScHoolboy Q)
05 Chalk Tablet Towers (feat. St Vincent)
06 The Pink Phantom (feat. Elton John & 6LACK)
07 Aries (feat. Peter Hook & Georgia)
08 Friday 13th (feat. Octavian)
09 Dead Butterflies (feat. Kano & Roxani Arias)
10 Désolé (feat. Fatoumata Diawara)
11 Momentary Bliss (feat. slowthai & Slaves)
12 Opium (feat. EARTHGANG)
13 Simplicity (feat. Joan As Police Woman)
14 Severed Head (feat. GoldLink & Unknown Mortal Orchestra)
15 With Love To An Ex (feat. Moonchild Sanelly)
16 MLS (feat. JPEGMAFIA & CHAI)
17 How Far? (feat. Tony Allen & Skepta)

IN BREVE: 5/5