Home RECENSIONI Idles – Joy As An Act Of Resistance

Idles – Joy As An Act Of Resistance

Manco a farlo apposta: nel giorno in cui, a sorpresa, il rapper più famoso del mondo pubblica un nuovo album solo per insultare pubblicamente mezzo mondo e dare del “frocio” ai suoi colleghi, dall’altra parte dell’oceano esce il disco di una band – molto meno nota – che fin dal titolo, Joy As An Act Of Resistance,mette in chiaro i propri intenti di unità ed inclusione.

GliIdles, da Bristol, pubblicano EP fin dalla loro formazione nel 2011 ma è solo l’anno scorso con l’album “Brutalism”che, insieme a Slaves, Shame, Sleaford Mods e Protomartyr prendono ufficialmente parte alla nuova ondata di band punk che ci stanno facendo riscoprire la necessità di un po’ di sana violenza e parole dette dritto-per-dritto nelle canzoni, dopo un periodo di anestesia critica e introspezione à la Drake. “Brutalism”, politico e ironicamente amaro, era stato ispirato dalla morte della madre del cantante Joe Talbot, ritratta sulla copertina, e dal conseguente dolore per il lutto che si trasformava in rabbia verso chiunque capitasse a tiro, dai Torynel parlamento inglese a quelli che ascoltano reggae. “Joy As An Act Of Resistance”, anche se nasce a sua volta da un lutto (la morte della figlia di Talbot subito dopo il parto), è invece una riflessione su come diventare una persona migliore e sul non sentirsi soli nel mondo o, come ha detto il frontman in un’intervista alla BBC, “sul celebrare veramente le differenze.

Da ciò deriva la scelta come singolo di lancio di un pezzo incredibile come Danny Nedelko,dal nome di un amico della band, figlio di immigrati ucraini. Qui una frase di Yoda da Guerre Stellari sulla paura che si trasforma in odio (”Fear leads to panic, panic leads to pain, pain leads to anger, anger leads to hate) diventa un ritornello pacifista e, parafrasando il testo, si dice che gli immigrati sono semplicemente esseri umani e fratelli di sangue, come d’altronde lo sono diventati nel cuore di ogni inglese, anche il più razzista, personaggi come Freddy Mercury e Malala Yousafzai, entrambi citati. Un messaggio bello esplicito per chi è a favore della Brexit e le politiche anti-immigrazione, non certo cantato su zampogne e violini da Festa dell’Unità degli anni ’70, ma su delle tranvate post hardcore letali, anche se meno arrabbiate e caotiche rispetto al sound del disco precedente.

Gli altri testi non sono meno significativi nel resto dell’album, si passa dalle emozioni crude per la morte della figlia in June a Samaritans, che prende di mira il maschilismo tossico della nostra società, che impone di “tirare fuori le palle” ed “essere un uomo” nei momenti difficili della vita, dandole per questo la colpa se “non hai mai visto tuo padre piangere”. “I kiss a boy and i liked it”urlando per tutta risposta, capovolgendo il testo della canzone di Katy Perry.

Sulla carta può sembrare un disco difficile da digerire, se non si conosce lo spirito goliardico degli Idles (che in fin dei conti sono un gruppo di simpatici ubriaconi da pub) o non si è abituati a certe sonorità, ma è scritto e suonato in un modo così diretto e accessibile che non può non venire voglia di andarsi a picchiare amorevolmente sotto il palco al loro prossimo passaggio in zona. Non si sa se rimarrà traccia degli Idles nella nostra memoria tra qualche anno, ma è sicuramente importante ascoltare qualcosa di simile in questo esatto momento.

(2018, Partisan)

01 Colossus
02 Never Fight A Man With A Perm
03 I’m Scum
04 Danny Nedelko
05 Love Song
06 June
07 Samaritans
08 Television
09 Great
10 Gram Rock
11 Cry To Me
12 Rottweiler

IN BREVE: 4/5