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Interpol – Marauder

Tra le band di culto i ritorni, si sa, sono sempre carichi di grande attesa, legati a filo doppio con le aspettative dei fan e degli addetti ai lavori, nella speranza che capolavori passati tornino a rivivere in una veste diversa, meno anacronistica. Gli Interpol non si sottraggono a questo meccanismo, anzi ne subiscono interamente le dinamiche per colpa di esordi reboanti.

A distanza di quasi quattro anni da “El Pintor”(uscito nel Settembre del 2014), i Nostri tornano con il loro sesto lavoro in studio,Marauder, pubblicato per la Matador Records, che vede come prima novità l’abbandono della produzione “fai da te” in favore della sapiente opera di regia di Dave Fridmann, già produttore di gruppi del calibro di Flaming Lips, MGMT, Tame Impala, Mogwai.

È un disco enigmatico sotto vari punti di vista, a partire dalla scelta della copertina, una foto di Garry Winogrand, esponente della street photography tanto caro a Daniel Kessler, raffigurante il procuratore Ellis Richardson nell’atto della rassegnazione delle proprie dimissioni durante un momento topico della recente storia americana, lo scandalo Watergate. Un disco politico ma non politicizzato, che è innegabilmente influenzato dall’attuale contesto politico americano che Banks e soci descrivono tracciando il profilo del loro “Predone”.

Con “Marauder” gli Interpol non vogliono essere immediati, sebbene la fase di gestazione di questo disco abbia detto il contrario, cercano di accattivarsi l’ascoltatore abbandonando la ricerca della melodia facile, eccetto talune parentesi più pop come Flight Of Fancy o If You Really Love Nothing. Puntano su riff di chitarra crudi, compatti, che assomigliano a delle scudisciate sonore in salsa post punk (The Rover o Stay In Touch). Ecco, questo è il leitmotiv principale dell’album: maggiore predilezione per sonorità più grezze, più compatte e meno new wave nel suo senso più melodico.

Non mancano pezzi più sperimentali come Complications, dove oltre a un refrain che fa chiaramente il verso ai R.H.C.P. troneggia un riff reggae distorto che ricorda un po’ Lydon e i suoi PiL. Un lavoro discografico che non è un passo falso, anzi ci regala una band in salute che dimostra di aver ritrovato una buona verve compositiva, ma soprattutto ci fornisce le coordinate di un futuro che ha sempre più il sapore di un certo revival post punk.

(2018, Matador)

01 If You Really Love Nothing
02 The Rover
03 Complications
04 Flight Of Fancy
05 Stay In Touch
06 Interlude 1
07 Mountain Child
08 NYSMAW
09 Surveillance
10 Number 10
11 Party’s Over
12 Interlude 2
13 It Probably Matters

IN BREVE: 3,5/5

Nasco a S. Giorgio a Cremano (sì, come Troisi) nel 1989. Cresco e vivo da sempre a Napoli, nel suo centro storico denso di Storia e di storie. Prestato alla legge per professione, dedicato al calcio e alla musica per passione e ossessione.