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Kele – 2042

Se esistesse un vocabolario delle parole abusate, storpiate e distorte, il termine contaminazione sarebbe una tra le prime a esservi inserita. Non è un mistero, ma occorre sottolineare come non basti un quartetto d’archi in un pezzo pop per trasformarlo in un classico contemporaneo, così come non è affatto sufficiente aggiungere cori africani a un pezzo funk per ottenere un ottimo miscuglio etnomusicologo.

Kele Okereke, arrivato al suo quarto album da solista, il primo sotto l’etichetta di proprietà dell’artista inglese, prova a mettere in moto un meccanismo abbastanza audace, recuperando le sue origini nigeriane, tentando di descrivere l’ormai noto scenario di razzismo dilagante a cui ci stiamo lentamente abituando. Il risultato è 2042, corrispondente altresì all’anno in cui le minoranze etniche sorpasseranno bruscamente la “razza bianca” negli Stati Uniti, secondo le previsioni del Census Bureau.

Ma andiamo subito al punto: l’arma a doppio taglio contenuta in quest’album sta nella sovrabbondanza del suo materiale, sia a livello sonoro che contenutistico. A questo proposito, se dal punto di vista lirico il disco è sufficientemente incisivo, reggendosi su attacchi non velati a Trump e Kayne West in Jungle Bunny, a Morrissey in Let England Burn, campionando i discorsi e le reazioni al clima xenofobo (gli interludi Where She Came From e A Day Of National Shame, che s’inframmezzano nella tracklist, sono due belle prove) o ricordando la protesta del giocatore Colin Kaepernic contro le violenze delle forze dell’ordine americane a danno degli afroamericani in St Kaepernic Wept, in termini sonori purtroppo il godimento non è totalizzante.

I ritmi afro e le sonorità elettroniche della opening track, la new wave di Guava Rubicon e Between Me And My Maker, figlia illegittima di un’improbabile coppia Tears For Fears/Depeche Mode, le chitarre elettriche e le risate isteriche di Let England Burn, sono tutta roba che lascia intravedere un tentativo banale e poco riuscito di mescolare linguaggi del tutto differenti. In occasione dell’uscita di Jungle Bunny, Kele si chiedeva ironicamente quale fosse la responsabilità dell’intrattenitore nero, in un’epoca di tale divisione dilagante e razzismo pubblico. Bella premessa, peccato per il risultato.

(2019, Kola)

01 Jungle Bunny
02 Past Lives (Interlude)
03 Let England Burn
04 St Kaepernick Wept
05 Guava Rubicon
06 My Business
07 Ceiling Games
08 Where She Came From (Interlude)
09 Between Me And My Maker
10 Natural Hair
11 Cyril’s Blood
12 Secrets West 29th
13 Catching Feelings
14 A Day Of National Shame (Interlude)
15 Ocean View
16 Back Burner

IN BREVE: 2,5/5

Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.