Home RECENSIONI ITALIA Motta – La fine dei vent’anni

Motta – La fine dei vent’anni

lafinedeiventanniL’Italia in musica dell’anno 2016 è fortunatamente lontana parente di quella di appena quindici anni fa, quando era sinceramente impensabile una produzione quasi industriale di album indipendenti. Industria dell’indie, per l’appunto: tanti nomi sopravvalutati (non li facciamo per amor di patria), ma ogni tanto qualche proposta davvero degna di nota arriva alle nostre orecchie.

È questo il caso del toscano Francesco Motta: già voce dei Criminal Jokers sforna questo La fine dei vent’anni, un debutto solista eccellente nel cui cantautorato non fa fortunatamente capolino la noia che è spesso una costante dei dischi italiani di ultima generazione. L’idea musicale di Motta è semplice ma brillante al tempo stesso: la sua chitarra classica dà poesia ma riesce allo stesso tempo a graffiare durante il disco, che comincia subito col botto.

L’iniziale Del tempo che passa la felicità ricorda chiaramente Nick Drake, seppur in versione più grezza e incazzata, e questo basta a far capire che si tratta di una grandissima canzone. A seguire la commovente La fine dei vent’anni, brillante ballad che meriterebbe lo status di futuro inno generazionale, complice un testo sincero e non banale. Dopo la piacevolmente irrequieta  Prima o poi ci passerà è la volta di Sei bella davvero, che fa emergere più in superficie quella spensieratezza presente ma al contempo ben celata in altre tracce del disco, con un ritornello ancora una volta convincente: non a caso è la canzone in cui si sente più forte l’impronta della produzione di Riccardo Sinigallia, fondamentale per la buona riuscita dell’album.

L’ipnotica Roma stasera è il pezzo che ci fa capire definitivamente la straordinaria qualità del disco: altro cambio di stile, altra conferma, con la costante di musiche e testi sempre convincenti e il particolare timbro della voce di Francesco che svetta nel marasma sonoro. Mio padre era comunista ricorda il miglior Manu Chao, mentre l’enigmatica Prenditi quello che vuoi è un perfetto antipasto prima di un altro piatto forte del disco: Se continuiamo a correre, episodio che vede la collaborazione di Pietro Alessandro Alosi de Il Pan del Diavolo, rappresenta al meglio insieme a Roma stasera la quota psichedelica del disco. E qui arriviamo ad un altro punto forte di questo lavoro in studio: la breve durata dei brani (anche nei brani che si presterebbero maggiormente alle divagazioni strumentali del caso), che non inficia la buona riuscita dell’album ma, anzi, ne rafforza la struttura complessiva.

Una maternità è l’unico momento debole dell’album, ma di certo non si può dire lo stesso per la struggente Abbiamo vinto un’altra guerra, degna conclusione di un lavoro che ci fa capire al meglio l’entità del talento di Motta, già brillante con i Criminal Jokers ma superlativo in veste solista: non sappiamo se il successo sarà immediato, ma il tempo sarà sicuramente generoso nel giudizio di quello che è – possiamo dirlo – un autentico capolavoro della nuova musica italiana.

(2016, Woodworm)

01 Del tempo che passa la felicità
02 La fine dei vent’anni
03 Prima o poi ci passerà
04 Sei bella davvero
05 Roma stasera
06 Mio padre era comunista
07 Prenditi quello che vuoi
08 Se continuiamo a correre
09 Una maternità
10 Abbiamo vinto un’altra guerra

IN BREVE: 4,5/5

Una malattia cronica chiamata britpop lo affligge dal lontano 1994 e non vuole guarire. Bassista fallito, ma per suonare da headliner a Glastonbury c'è tempo. Già farmacista, ha messo su la sua piccola impresa turistica. Scrive per Il Cibicida dal 2009.