Home RECENSIONI Oneohtrix Point Never – Age Of

Oneohtrix Point Never – Age Of

“Questo che stiamo per raccontare, è un disco di puro orrore”. Se ci si accinge ad ascoltare Age Of, soprattutto durante le ore notturne, è probabile che fin dalle prime note vengano in mente quelle parole usate da Carlo Lucarelli per dare inizio al suo programma sulla Rai. Poi anche “Paura eeeh?”, come lo imitava Fabio De Luigi, man mano che scorre la tracklist. D’altronde siamo al cospetto di un’opera inquietante, distopica e ambiziosa, com’è sempre stata la produzione di Oneohtrix Point Never.

Difficilmente negli anni ci si è potuti nascondere dalla sua musica orrorifica: si può sentire la mano dell’americano Daniel Lopatin nella colonna sonora di “Good Time” o “Bling Ring” di Sofia Coppola, nelle sonorizzazioni di opere d’arte al MoMA di New York, nell’ultimo album di David Byrne, insieme alle voci morbide di FKA Twigs e Anohni (nel fantastico “Hopelessness” del 2016 co-prodotto con Hudson Mohawke) o sotto vari pseudonimi come Chuck Person, progetto parallelo che per molti, con “Eccojams Vol.1”, ha portato alla nascita del movimento vaporwave.

“Age Of”, decimo lavoro in studio e quarto per la Warp, è il culmine dell’incredibile carriera di questo artista, perché è la summa di tutte le sperimentazioni sonore portate avanti negli anni. Dentro c’è un mondo che mescola varie epoche musicali, quelle del titolo incompleto dell’album: ci sono clavicembali barocchi, folk anni ’70, IDM, glitch music, autotune, r’n’b, metal e la collaborazione di James Blake, che col suo morbido tocco ha prodotto e mixato l’album. Se l’elenco appena descritto vi sembra un’accozzaglia di generi musicali buttati a caso è normale; dopotutto per quanti piani di lettura ci sono dentro questo disco, viene richiesta all’ascoltatore un’attenzione speciale per cogliere ogni colore e sfumatura della palette, l’attenzione che bisogna riservare alle opere di grandi compositori.

Per inquadrare un po’ di più questo suono variegato, bastino due esempi quasi contraddittori: The Station suona come un pezzo r’n’b di inizio anni 2000, e infatti nasce come demo destinata a Usher, progetto poi non andato in porto, mentre Toys 2 è come Lopatin immagina la colonna di un film Pixar (è l’immaginario seguito di “Toys” con Robin Williams), ed è una via di mezzo tra “My Heart Will Go On” di Celine Dion e la colonna sonora di “Stranger Things”, insomma la soundtrack del “Titanic” che finisce nel Sottosopra anziché contro un iceberg.

Questo paesaggio acustico parecchio inquietante fa da base a una storia in stile “2001: Odissea nello Spazio”, in cui Oneohtrix Point Never narra di quattro epoche storiche (denominate, come si legge sull’incredibile packaging dell’album, Ecco, Harvest, Excess e Bondage) che si susseguono in loop alla fine dell’universo e dell’esistenza umana, governate da intelligenze artificiali che hanno la voce di Prurient e della già citata Anohni, nel singolo Black Snow. Fantasia scientifica e immaginazione del suono del futuro attraverso la decostruzione del passato. Di questo trip esoterico di puro orrore se ne parlerà per gli anni a venire, quando forse lo capiremo a pieno.

(2018, Warp)

01 Age Of
02 Babylon
03 Manifold
04 The Station
05 Toys 2
06 Black Snow
07 myriad.industries
08 Warning
09 We’ll Take It
10 Same
11 RayCats
12 Still Stuff That Doesn’t Happen
13 Last Known Image of a Song

IN BREVE: 4,5/5