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Peter Murphy – Ninth

Riscoprirsi rockstar a cinquantatré anni suonati, quando chiunque altro al tuo posto avrebbe imbracciato una sei corde acustica e tessuto delicati arpeggi, non è un processo così comune. Ma, d’altra parte, Peter Murphy non è un artista “comune”, non lo è mai stato. Delfino del gothic, icona degli anni ‘80, cantautore atipico, spauracchio dei bambini a mo’ di uomo nero, il frontman dei Bauhaus è da oltre trent’anni che fa parlare di sé, fra reunion sporadiche della sua storica band, dischi da solista più o meno meritevoli d’attenzione e collaborazioni di (extra) lusso con altri grandi nomi del panorama mondiale. Ritorna oggi con Ninth, album che già dal titolo chiarifica quella che è la lunga esperienza discografica in solitario di Murphy. Dicevamo “riscoprirsi rockstar”: ebbene sì, ciò che propone il buon Peter con questa nuova pubblicazione è tutt’altro che un album lento e riflessivo, laddove sono invece gli spunti più “heavy” a farla da padroni. Forte del supporto di una band che fin da subito si rivela di tutto rispetto, a metà tra il Marilyn Manson più attempato e quell’eterna promessa che sono (erano?) gli HIM di Ville Valo, Murphy si destreggia alla perfezione fra pezzi veloci e marcatamente chitarristici (vedi il trittico iniziale composto da Velocity Bird, See Saw Sway e Peace To Each o Uneven & Brittle) e altri farciti da un sezione ritmica martellante (vedi Memory Go o The Prince & Old Lady Shad) che richiamano più da vicino i nomi di cui sopra. E non appaia dissacrante il paragone a tali figure, a loro volta figliocci dello stile del Re del gothic, perchè il confronto va preso senza mezzi termini come una nota positiva, segno della capacità del nostro di stare al passo con i tempi, in particolar modo dal punto di vista strettamente musicale e delle fonti d’ispirazione. Mentre un passo indietro, agli eighties e alla new wave, viene fatto con I Spit Roses, colma di quelle tastiere che della decade buia del rock hanno fatto la storia. A completare l’opera un paio di brani come la romantica Never Fall Out e la conclusiva Creme De La Créme, immancabili ballad da sempre nelle corde del frontman britannico (qualcuno ricorda per caso “Crowds”?). Per quanto riguarda la prova vocale di Murphy, invece, si tratta dell’unico imprescindibile elemento di continuità che rende “obbligatorio” l’ascolto di qualsiasi pezzo da lui firmato. Perché che parli di morte o d’amore, che racconti fiabe o incubi, i suoi vocalizzi malati e tratteggiati a tinte scure rimangono unici nel loro genere, capace com’è Peter di ammaliare senza scadere nel banale, di autocitarsi senza annoiare, di non cambiare una virgola pur andando abilmente avanti nel proprio percorso artistico. Vi pare poco tutto questo?

(2011, Nettwerk)

01 Velocity Bird
02 See Saw Sway
03 Peace To Each
04 I Spit Roses
05 Never Fall Out
06 Memory Go
07 The Prince & Old Lady Shad
08 Uneven & Brittle
09 Slowdown
10 Secret Silk Society
11 Creme De La Créme

A cura di Emanuele Brunetto