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Pop. 1280 – Paradise

paradiseI newyorkesi Pop. 1280 in quanto a somministrazione di senso di soffocamento non si erano fatti pregare neanche con i precedenti “The Horror” (2012) e “Imps Of Perversion” (2013), ma è con questo terzo capitolo della loro discografia che agguantano per il collo l’ascoltatore trascinandolo definitivamente a fondo negli anfratti più bui dell’animo umano.

Paradise, in barba a un titolo che definire eufemistico è voler essere moderati, segna un massiccio affrancamento della band dal mondo post punk, noise e garage in favore di un uso marcato di scurissima elettronica, che ne traghetta il sound nei territori della prima ondata industrial. Se i bassi e i synth cavernosi dell’opener Pyramids On Mars celano ambizioni da Bauhaus 2.0, è già con la seguente Phantom Freighter che viene fuori la nuova veste dei Pop. 1280: scatti à la D.A.F. dei bei tempi, sferragliamenti di scuola Throbbing Gristle che nei sette minuti di In Silico prendono il sopravvento, punk cibernetico in USS ISS.

Poi un rallentamento che si fatica a comprendere del tutto, con la title track e Rain Song che tra bagliori, rumorismi e derive ambientali mutano uno scenario che sembrava aver imboccato una più movimentata rampa di lancio electro. Una variazione sul tema che non convince del tutto e che finisce per non far bene all’economia dell’intero disco.

Il cantato vagamente hardcore (ma sotto effetto di Valium) di Chris Bug e il concept distopico su cui sono fondate le lyrics piacciono e non poco, aspetto non secondario di un album di passaggio che nel complesso alterna buone idee a momenti claudicanti.

(2016, Sacred Bones)

01 Pyramids On Mars
02 Phantom Freighter
03 In Silico
04 Chromidia
05 USS ISS
06 Paradise
07 Rain Song
08 The Last Undertaker
09 Kingdom Come

IN BREVE: 3/5