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Russian Circles – Memorial

memorialCon la sola eccezione di qualcosa di “Geneva”, i Russian Circles del dopo-“Enter” (il loro esordio del 2006) hanno miscelato la prevedibilità compositiva con una piattezza emotiva quasi preoccupante. Tecnicamente accettabili con gli strumenti senza eccellere in nulla, i Russian Circles sono stati comprimari a cui la sorte ha arriso grazie all’esplosione del post-hardcore e della sua copula con il post-rock. C’è però sempre tempo per fare un passo in avanti e far ricredere gli scettici come il sottoscritto. E l’occasione assume i connotati di Memorial, quinto lavoro in carriera, il secondo per Sargent House.

Ricco di sfumature e umori contrastanti, “Memorial” convince per la maturità con cui i tre chicagoani affrontano la materia, liberi in parte dalle scorie post-Neurosis e con un piede in territori più aggressivi. Si sente infatti l’urgenza di vomitare una ribollente furia metallica nell’epico abisso di Deficit (con gli Opeth dietro l’angolo), nel monolitico incedere di Lebaron o nel riffing terzinato e ispido di Burial, un vero macigno che guarda da lontano al black-core dei malvagi Celeste.

Se da un lato i Russian Circles assestano colpi pesanti, dall’altro non rinunciano alla paesaggistica tipica del post-rock escapista, senza per questo risultare didascalici. L’epica ascensione di 1777 si candida a diventare il brano migliore mai composto dal gruppo, un maestoso crescendo che lambisce l’alta poetica dei Mono e dei primi e celebratissimi Red Sparowes. E come un naturale corollario, “1777” è seguita dall’eterea Cheyenne che vive dei contrasti dei diversi timbri degli strumenti che la compongono, dal pizzicato scintillio della chitarra acustica al velluto dei synth, passando per la scabrosità del basso distorto, dipingendo così un panorama onirico sospeso tra i Grand Canyon.

La comparsa sulla scena di Chelsea Wolfe, con cui la band sta condividendo attualmente il tour di supporto al disco, pare più uno spot voluto dalla Sargent House (etichetta di entrambi) che una spontanea necessità: la title-track finale su cui si staglia la voce ultra riverberata della cantautrice californiana nulla aggiunge all’umore generale dell’album (e l’arpeggio portante è un incontro del quarto tipo con “Flatlands”, canzone della Wolfe).

Riconosco ai Russian Circles una maturazione che non pensavo potessero più raggiungere dopo quasi dieci anni di carriera e non pochi episodi mediocri. In parte prigionieri di un genere che figlia(va) cloni a più non posso, la difficoltà maggiore per il gruppo sarà replicare in futuro la qualità di un lavoro come questo, emotivamente coinvolgente e senza cali di tensione.

(2013, Sargent House)

01 Memoriam
02 Deficit
03 1777
04 Cheyenne
05 Burial
06 Ethel
07 Lebaron
08 Memorial (feat. Chelsea Wolfe)