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Smashing Pumpkins – Oceania

Ci mancavano le fregnacce di Billy Corgan più o meno quanto ci mancano i brufoli e le seghe mentali dell’adolescenza. Ma lui, a differenza di punti neri e bubboni adolescenziali, torna con un set di fregnacce nuove di zecca a periodi più o meno regolari che, a farla breve, coincidono con le rate del mutuo e della lavatrice nuova. Il nuovo set di fregnacce è stato inaugurato nel Settembre del 2009, mese nel quale presentò “Teargarden By Kaleidyscope”, progetto di 44 canzoni rilasciate (in teoria) una ad una: l’album – disse Corgan – è un concetto che non ha più senso, voglio una serie di canzoni che escano una dopo l’altra nell’arco di tre anni, tutte correlate – disse – da un concetto comune (tipo un concept album, Corgan?). Concetto comune che doveva essere una qualche balla sui tarocchi, sulle carte dei tarocchi, insomma una di quelle fregnacce irrilevanti alle quali ci ha abituato mastro Corgan, che non ne imbrocca una dal 1998. Tutto ciò accompagnato al fatto che anche Chamberlin, l’ultimo Pumpkin originale rimasto oltre Corgan, ha salutato tutti e ha mollato il colpo, dicendo di voler fare musica in cui credere e di essersi scocciato di “incassare l’assegno”. Questo “progetto” si è sgonfiato nel 2011 quando Corgan si è accorto che, essendo, diciamo eufemisticamente, bruttine una buona parte delle 10 canzoni pubblicate (gratis!), accadeva che non è che fossero granchè scaricate… e quindi magari era una buona idea ridimensionare il concept in un album, vecchio stile, 13 canzoni, un’ora di musica… insomma un concept album. E, tanto per completare l’opera, è un “ritorno alle radici psichedeliche di Gish” ed è il “miglior album dai tempi di Mellon Collie”, sempre nelle parole-barra-fregnacce di Corgan. Ad essere onesti, la prima delle due affermazioni è senz’altro vera: sia l’atmosfera generale dell’album che i suoni hanno un che di Gish-iano, seppur scontatamente meno spontanei e compositivamente inferiori, ma pur sempre orientati verso quella direzione. A livello qualitativo, l’album è una delle cose più dignitose prodotte da Corgan in qualunque forma dai tempi di “Adore”. Ma aspettate a saltare sulla sedia: una cotale affermazione non vuol dire poi molto. Infatti, musicalmente parlando, Corgan negli ultimi anni ha prodotto talmente tanto sterco da concimare l’Australia, per rimanere in tema di Oceania; ed infatti, in onore ad Einstein ed alla sua relatività, la nostra affermazione comporta che l’album sia una mediocre pastetta, ascoltabile senza particolari smorfie di sdegno, se non in qualche sporadico ed evitabile momento Zwaniano (My Love Is Winter e One Diamond, One Heart, poco saggiamente piazzate l’una dopo l’altra). E dire che i due brani introduttivi (dai riprovevoli titoli di Quasar e Panopticon) facevano ben sperare: due bei pezzi tirati ma non banali che richiamano il passato pumpkisiano senza imitarlo, persi in un oceano di mediocrità. L’unica cosa che è pateticamente divertente di Corgan, ormai, è la quantità d’insulti profusi durante le interviste: i Radiohead sono pomposi (detto da Corgan! Come se Cicciolina accusasse Margherita Hack di esser di facili costumi), James Iha è un “pezzo di merda”, Jimmy Chamberlin è un “fucking liar”. E in mezzo a questa pletora di epiteti, si scorge quanto disperatamente alla ricerca di attenzione sia Corgan (che un tempo chiamavamo Billy, ma che ora viene spontaneo chiamare Corgan, e non aggiungiamo il maiuscolo nella “A” e una “O” finale perchè ormai siamo maturi). Tutti i suoi progetti, da “Machina II” in poi, che siano stati il libro di poesie, il disco solista, il disco con gli Zwan, il ritorno dei Pumpkins, il disco di 44 canzoni, il blog o quel che cazz’era, sono stati bellamente ignorati e sbeffeggiati da una buona parte della vecchia base di fan e dalla maggior parte della critica seria che Corgan, da vecchio lupo, sa distinguere benissimo da quella leccaculistica lobby che domina la scena. E anche i vecchi trucchetti che avevano funzionato persino su “Machina” (la suite di 9 minuti con cambi di umore/stile, Oceania) qui sembrano triti cliché, sfoderati per carpire l’attenzione di un pubblico che però, caro Billy, non ha più 13/14/15 anni, bensì 30 e rotti, e di acqua fresca ne ha bevuta direttamente dalla fonte da cui attingevi imbottigliandola per noi pischelletti. Un album piuttosto fiacco che avrebbe reso fiero il Salieri di F. Murray Abraham (o meglio, di Shaffer/Forman) nella sua inoffensiva mediocrità. E c’è sempre da ricordarsi che è il miglior prodotto a nome Corgan da almeno una decina d’anni. Per un attimo ci avevamo quasi sperato.

(2012, Capitol / Martha’s Music)

01 Quasar
02 Panopticon
03 The Celestials
04 Violet Rays
05 My Love Is Winter
06 One Diamond, One Heart
07 Pinwheels
08 Oceania
09 Pale Horse
10 The Chimera
11 Glissandra
12 Inkless
13 Wildflower

A cura di Nicola Corsaro