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Still Corners – Slow Air

Sono ormai quasi dieci anni che Greg Hughes e Tessa Murray sono congiuntamente in giro con il moniker Still Corners. Un nome, quello dei londinesi, che chi è avvezzo a sonorità dreamy conosce bene, ma che in realtà non è mai riuscito a uscire dalla nicchia degli appassionati del genere. Sorvolando su questioni che lasciano il tempo che trovano come la fortuna, le occasioni perse e via discorrendo, è chiaro come non abbia giovato al duo un percorso non particolarmente uniforme.

La progressione sintetica intrapresa dagli Still Corners a partire dall’esordio “Creatures Of An Hour” (2011), proseguita con “Strange Pleasures” (2013) e culminata in “Dead Blue” (2016), ha fatto il buono e cattivo tempo nella loro discografia, così come le scelte stilistiche e di vita di Hughes/Murray, avvicinatisi sempre più – fino all’effettivo trasferimento fisico – agli Stati Uniti e subendone parecchio le influenze. E così Slow Air, il loro quarto album, le atmosfere di Austin in Texas, dov’è stato scritto e registrato, le ha fatte proprie segnando l’ennesima mutazione degli Still Corners.

La principale e più evidente evoluzione rispetto a “Dead Blue” è tutta strumentale: il polistrumentista Greg Hughes ha ripreso in mano le chitarre, tanto elettriche quanto acustiche, a scapito di quell’elettronica molto, molto scura che lì era il vero fil rouge del disco e che qui si rifà un tantino sotto solo in Fade Out. Oltre alle chitarre (affascinante il solo dell’iniziale In The Middle Of The Night, ad esempio), ci sono anche percussioni più presenti e corpose, che fanno da battito rallentato all’incedere indolente e sonnecchiante dell’intero “Slow Air”.

Se il singolo Black Lagoon s’incastra (ed è l’unica traccia a farlo davvero) nei dettami del dream pop più classico, la vera natura del disco va ricercata in brani come The Message, Sad Movies e The Photograph, istantanee di sogni da spiaggia in cui tutto procede per il meglio, senza tensioni, senza mostri sotto al letto e col sole sempre ben alto in cielo a illuminarne il cammino.

La voce di Tessa Murray, da sempre l’innegabile tratto distintivo degli Still Corners, in “Slow Air” fa un po’ un passo indietro, non tanto nell’effettivo minutaggio della sua presenza quanto nel modo stesso in cui la Murray si approccia ai brani, facendosi strumento alle spalle delle già citate chitarre e percussioni. Il risultato è forse meno ammaliante rispetto al passato, ma si fa apprezzare per l’ennesimo tentativo di non rimanere ancorati a se stessi, un duo fluttuante che crea musica in simbiosi con l’ambiente che li circonda.

(2018, Wrecking Light)

01 In The Middle Of The Night
02 The Message
03 Sad Movies
04 Welcome To Slow Air
05 Black Lagoon
06 Dreamlands
07 Whisper
08 Fade Out
09 The Photograph
10 Long Goodbyes

IN BREVE: 3,5/5