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The Mars Volta – Noctourniquet

“Octahedron” è stato il punto più basso di una carriera in costante discesa. Partiti a razzo dopo la fine degli At The Drive-In con “De-loused In The Comatorium”, ancora oggi uno dei dischi più emozionanti degli Anni Zero e strangolati nella culla i fratelli Sparta, i Mars Volta parevano proiettati verso l’Olimpo del Rock.

Alla fine ci sono arrivati lo stesso, col placet del pubblico e di una buona dose di sopravvalutazione e leccate di culo da parte di una stampa fin troppo generosa, capace di osannare purghe atomiche come “Amputechture” e “The Bedlam In Goliath”. Sull’altra faccia della luna però non sono state lesinate critiche meritate a un percorso artistico ampolloso e tracotante, a un progressive-rock verboso e sterile che nessuna emozione riusciva a veicolare. Cedric Bixler Zavala e Omar A. Rodriguez sedano il loro narcisismo, rivedono per l’ennesima volta la line-up (ritorna Deantoni Parks alla batteria) e concepiscono stavolta un album finalmente degno del marchio Mars Volta.

In alcuni punti riecheggia il folgorante esordio mescolato all’ormai consolidata formula prog, ma le divagazioni inutili si sono prosciugate in virtù di una rinnovata e succinta identità melodica negli assi vocali e la forma canzone torna a fungere da ossatura per le composizioni. Zavala ha smesso di squittire e dosa gli effetti sulla voce, in passato delle vere ulcere timpaniche. Persino Rodriguez accantona gli esercizi dei polpastrelli sul manico della chitarra e si mette al servizio dei brani. Tempi nervosi e dispari, patterns elettronici grondano a destra e manca arricchendo gli arrangiamenti, i suoni sono meno barocchi e più calibrati, insomma, era ora di darci un taglio con la sboronaggine a buon mercato.

Parecchio lungo nella durata, Noctourniquet svela subito le buone intenzioni che lo hanno originato. Aegis è invero strepitosa, un drumming sommesso ma isterico la sostiene, i versi sono avvolti da un’aria lievemente sinistra, poi irrompe un refrain da urlo. The Malkin Jewel è una strisciante mutazione reggae con un Cedric d’assalto nel finale, Lapochka è malinconica e sorretta dal cicaleccio del charleston di Parks e sulla title track incombe l’ombra di “Have A Cigar” dei Pink Floyd.

Qualche episodio infelice c’è, si vedano l’inutile Imago o Trinkets Pale Of Moon che non decolla mai o, perché no, Empty Vessels Make The Loudest Sound, una semi ballad che parte bene ma che viene sfigurata da un ritornello così così, quasi stanco e forzato. Ribadiamo i rimandi a De-loused, niente affatto manieristici e fin troppo evidenti, in Dyslexicon, nella scattante Molochwalker e “Aegis” stessa. Chi persegue nel criticarli dovrebbe sturarsi le orecchie, i Mars Volta risollevano il capo con dignità, non strabiliano ma per lo meno non annoiano. Loro lo definiscono “future punk”, noi, a dispetto delle etichette, pensiamo solo che sia una buona prova.

(2012, Warner)

01 The Whip Hand
02 Aegis
03 Dyslexicon
04 Empty Vessels Make The Loudest Sound
05 The Malkin Jewel
06 Lapochka
07 In Absentia
08 Imago
09 Molochwalker
10 Trinkets Pale Of Moon
11 Vedamalady
12 Noctourniquet
13 Zed And Two Naughts

IN BREVE: 3,5/5