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The Voidz – Virtue

Virtue è l’album che non ti aspetti, un “futuristic prison jazz” come lo definisce Julian Casablancas voce dei The Voidz, che vede la luce a più di tre anni dal primo lavoro “Tyranny”. “Virtue”, però, non è né futuristico né jazz, diciamo che può essere definito come una versione meno raffinata del modo in cui il pop mainstream anni ’80 è stato distorto e rimodellato da gruppi come The 1975.

Da amante degli Strokes, potete immaginare le enormi aspettative ogniqualvolta Julian Casablancas riappare con un nuovo progetto, è quasi una maledizione quella di volerlo seguire fino alla fine (in)naturale, soprattutto visti gli innumerevoli colpi di testa cui ci ha abituati, che trovano spesso terreno fertile per un solo album o un’improbabile e spiazzante nuova collaborazione (non dimentichiamo della parentesi The Sick Six).

La follia che ha invaso le menti di chi ha generato le (ben) quindici tracce dell’album non è assolutamente da sottovalutare, né bisogna considerarla come il frutto di un’estemporanea incapacità di intendere e volere. “Virtue” cammina abilmente in bilico sulla linea sottile che sta nel mezzo tra “eclettico” e “completamente incoerente”, dove il passo per cadere nel secondo è davvero breve.

Nel disco Casablancas fa alcuni passi indietro verso un universo a lui più familiare: Leave It In My Dreams e Permanent High School potrebbero tranquillamente far parte di “Comedown Machine”, Lazy Boy ripropone il suono, poi abbandonato, ispirato alla Motown che troviamo anche in “Under Control” di “Room On Fire”. Tuttavia, le cose si complicano rapidamente sul recente singolo QYURRYUS, un pasticcio di fredda e martellante elettronica con sottofondo di voci metalliche auto-tuned (difficili da sopportare), unite a un sound che ricorda una colonna sonora bollywoodiana di un film ambientato nel Sahara. Chiaro, no?

In preda a una fase puramente nostalgica, The Voidz si aprono agli 80’s con All Wordz Are Made Up e ALieNNatioN,  mischiando generi stridentemente accartocciati con poco interesse sulle conseguenze, anzi. Pink Ocean col groove accattivante e dalla melodia pacifica fa contrasto con Pointlessness, un coro di sintetizzatori di cinque minuti che trova un Casablancas in loop a ripetere: “What does it matter? What does it matter?”.

Non penso che “Virtue” sia un album “virtuoso” al 100%, sicuramente è un album difficile, lungo e a tratti estenuante – per le continue incursioni nella sperimentazione sonica di Julian Casablancas & friends – ma è anche portatore sano di un pop divertente e irriverente, lontano dalla noia che oramai impera nell’universo indie rock generale. È una via di mezzo tra ciò che avrebbe potuto essere e ciò che effettivamente è: un piccolo capolavoro no-fi.

(2018, RCA)

01 Leave It In My Dreams
02 QYURRYUS
03 Pyramid Of Bones
04 Permanent High School
05 ALieNNatioN
06 One Of The Ones
07 All Wordz Are Made Up
08 Think Before You Drink
09  Wink
10 My Friend The Walls
11 Pink Ocean
12 Black Hole
13 Lazy Boy
14 We’re Where We Were
15 Pointlessness

IN BREVE: 3,5/5