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Velvet Negroni – Neon Brown

Le caratteristiche per fomentare l’hype ce le ha tutte: apre per Tame Impala, Kanye lo campiona, Bon Iver lo ospita, ha un nome stravagante (nato da storiella amena: un amico gli offrì un cocktail da 30 Dollari chiamato così), è un personaggio estremamente affascinante e le storie di droga non gli mancano. In aggiunta ha quel trascurabile dettaglio di essere un signor produttore e di fare musica che ha realmente qualcosa da dire.

Spesso citato come il suo esordio, Neon Brown è in realtà l’opera seconda del Sig. Jeremy Nutzman, che tuttavia suona come quella di un veterano; il suo promettente primo album da solista (“T.C.O.D.” del 2017) ha fatto la stessa fine del resto della sua produzione precedente: svanito nel nulla, poco promosso, lasciato perdere. Strano, per un trentaquattrenne che racconta di sbattersi le corna sulla teoria musicale sin da bambino, mentre i coetanei giocavano a palla in giardino. Ma Jeremy aveva altro da fare. Beh, sballarsi principalmente. E probabilmente vi sembrerà strano, ma è impegnativo.

“Neon Brown” arriva in sordina, come è consuetudine per il suo autore, prodotto da quest’ultimo insieme ai due amici e collaboratori Psymun e Trickle Toruture, ed è un grosso passo avanti sonoro rispetto al predecessore. Inebriato di un indefinibile misto di r’n’b estremamente moderno, trap e funky, l’album rifugge gli stereotipi del genere ed è lontano dall’autoparodia che un genere minimalista come la trap talvolta si porta appresso come corollario quasi necessario. I momenti migliori sono i due pezzi più diversi dal resto delle tracce: il funk di Kurt Kobain è memorabile e a tratti ricorda Prince, mentre Confetti, in principio apparentemente consona al delicato trap e r’n’b che la fanno da padrone, se ne distanzia per una melodia tendenzialmente soul e per un sassofono che emerge malinconico dal beat e cambia le carte in tavola.

Per il resto, il nostro Velvet Negroni rimane una promessa. Una concretissima promessa, ma una promessa nondimeno: “Neon Brown” è prodotto in maniera squisita, curatissima e ha un’atmosfera di malinconia per niente posticcia che è estremamente rara per il genere. Ma la scrittura, seppur piacevole, fatica a essere memorabile fatti salvi i due episodi citati; inoltre si piace un po’ troppo, talvolta dilungandosi oltre ciò che ragionevolmente il pezzo ha da dire. Jeremy Nutzman non è un ragazzino, ma ha tutto il tempo del mondo per partire da quest’album e diventare quel gigante che ha sicuramente il talento per essere.

(2019, 4AD)

01 One One
02 Wine Green
03 Kurt Kobain
04 Poster Child
05 Confetti
06 U.Dunno
07 Choir Boy
08 Scratchers
09 Nester
10 Feel Let
11 Ectodub

IN BREVE: 3/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.