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Verve – Forth

L’avevamo lasciato, Richard Ashcroft, col suo giubbotto di pelle nero mentre prendeva a spallate i passanti nel videoclip di “Bitter Sweet Symphony”. Quelli erano gli “inni urbani” (“Urban Hymns”) e quello era il 1997. Dopodichè i Verve si dissolsero nel nulla, Ashcroft cominciò la sua zuccherosissima carriera da solista e anche gli altri si rimboccarono le maniche: McCabe nell’album di John Martyn “On The Cobbles”, Simon Jones nei Gorillaz di Damon Albarn, Peter Salisbury nei Black Rebel Motorcycle Club e Simon Tong in Shining, Transmission e The Good, The Bad & The Queen. Oltre dieci anni di diaspora e poi, quest’estate, il ritorno all’ovile con il nuovissimo Forth. Bene, la critica che rivolgiamo a bocce ferme è verso il pessimo singolo Love Is Noise che ha anticipato l’uscita del disco. La scelta di porlo lì come scudetto del disco è fallimentare, ma è un vecchio vizio questo. Le radio vogliono il “radio friendly” e quasi sempre lo ottengono. Pazienza. Ma veniamo al resto. Il disco dei nuovi Verve è sinceramente buono. Anzi, è buono sinceramente. Ashcroft & Co. non cercano di vestirsi con gli abiti di due lustri fa, al contrario suonano i loro (quasi) quarant’anni senza ipocrisia. Pezzi come I See HousesNumbness forniscono prove di rock levigato, bardato di postproduzione intelligente e per nulla frettolosa. E’ infatti soprattutto questo un aspetto che piace di “Forth”: la pazienza. I brani galleggiano in uno spazio vitale. Si prendono tutto il tempo che serve. Non ricercano l’immediata “apertura”. Prendiamo come esempio Columbo. Inizio in sordina, batteria di Salisbury che accelera solo un po’ e voce di Ashcroft che elasticamente s’allunga. Poi cambio di velocità e cambio di timbro. In sottofondo il tappeto tastieristico si fa calpestare dagli strumenti con Richard che canta ad eco smorzato dai dischi spaziali che sorvolano i 7:18 del brano. Certo ci sono anche colate pop dolciastre come in Appalachian SpringsJudas retaggio del peggior brit pop che fu, ma insomma Ashcroft dimostra il buon equilibrio che lo vede non ricercare comodamente la faccia cattiva del secolo scorso, ma allo stesso tempo non macchiarsi dell’insopportabile romanticismo dei suoi album da solista. Vi sembra poco?

(2008, Parlophone)

01 Sit And Wonder
02 Love Is Noise
03 Rather Be
04 Judas
05 Numbness
06 I See Houses
07 Noise Epic
08 Valium Skies
09 Columbo
10 Appalachian Springs

A cura di Riccardo Marra