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White Lies – Big TV

Hanno la sindrome del gambero i White Lies. Un passo avanti e due indietro, in balia della corrente o, molto più semplicemente, di se stessi. Nel 2011 “Ritual” non era stato chissà quale capolavoro, ma aveva quantomeno tenuto stabili le quotazioni dei tre inglesi rispetto all’esordio del 2009 che – bisogna ammetterlo – aveva fatto centro. Big TV, invece, non si capisce davvero dove voglia andare a parare: Harry McVeigh e soci mutano pelle riciclandosi in sonorità finora inesplorate (ed è questo, sulla carta, il passo avanti), salvo perdersi in un groviglio di influenze, citazioni ed eccessi che fanno perdere di vista lo stile stesso della band (ed è questo il doppio passo indietro).

Andiamo dritti al sodo: il singolo There Goes Our Love Again ha appena qualche grammo della dirompenza – necessaria soprattutto in chiave live – di arcinoti predecessori come “Too Lose My Life” o “Bigger Than Us”; e questo non è un peccato veniale per band come i White Lies che si giocano tanti dei propri privilegi sulla riuscita o meno del pezzo di lancio. Secondo elemento: a furia di sentirsi dire che si è troppo bravi si rischia spesso di montarsi la testa. Cosa che dev’essere successa a McVeigh, frontman dotato di una gran voce (ve l’assicuriamo, dal vivo si percepisce molto più che su disco) ma troppo avvezzo ad una ridondanza che in questo “Big TV” sfocia nell’auto-spot: eco, riverberi, filtri a mo’ di Instagram, ghirigori e trovate rococò che anzichè supportare la prestazione vocale la cacciano giù in basso.

Ancora: va bene il revival eighties, ci sono schiere di band che pescano a piene mani da quella fortunata decade, ma un po’ di selezione all’ingresso non guasterebbe affatto. I White Lies di “Big TV” accantonano prepotentemente le venature new wave per tuffarsi nei meandri delle peggiori ballate pop del decennio: prendi First Time Caller o Change, sbrilluccicanti di strass, cristalli e paillettes ma velatamente tristi, un po’ come se ai Wham! fosse morto il gatto durante le registrazioni.

Sorvolando sui due intermezzi Space I e Space II, perfetto sottofondo per scene di baci sotto il vischio in telefilm di second’ordine (rigorosamente anni ’80), solo a fine lavoro viene fuori qualcosa di apprezzabile: Heaven Wait, scura al punto giusto, riporta i White Lies alle sonorità cui c’avevano abituati, mentre la conclusiva Goldmine ha quel ritornello ficcante che manca al primo singolo estratto dall’album. Davvero troppo poco.

(2013, Harvest / Fiction)

01 Big TV
02 There Goes Our Love Again
03 Space I
04 First Time Caller
05 Mother Tongue
06 Getting Even
07 Change
08 Be Your Man
09 Space II
10 Tricky To Love
11 Heaven Wait
12 Goldmine