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Young Fathers – Cocoa Sugar

Perché faccio hip-hop fresco e resto sempre puro / Tu mischi questo e un po’ di quello e lo chiami futuro”, cantava un rapper italiano qualche anno fa lamentandosi dei dischi anonimi dei suoi colleghi che, attraverso una contaminazione sonora senza criterio, cercano goffamente di mettere insieme un suono innovativo che li faccia emergere.

Nel resto del mondo invece c’è chi la sperimentazione nel rap l’ha portata a un livello superiore, fino a ottenere qualcosa di profondamente personale e identificativo, dando per davvero l’idea di come possa essere il suono del futuro: l’esempio più lampante in questo inizio 2018 è Cocoa Sugar, il terzo album degli Young Fathers, già candidato a finire in cima alle classifiche di fine anno. A dirla tutta, se le pagine sui social ed i siti internet non specificassero che il trio scozzese è un gruppo rap, non verrebbe neanche in mente all’ascoltatore di associare gli Young Fathers a Kendrick Lamar e soci.

Nel loro percorso iniziato dieci anni fa, Alloysious Massaquoi, Kayus Bankole e Graham ‘G’ Hastings sono passati da una prestigiosa collaborazione con i Massive Attack (”Vooodoo In My Blood”) che li ha messi al centro dell’attenzione mondiale, poi dalla colonna sonora di “Trainspotting 2” (con l’incredibile “Only God Knows”) e la registrazione di due album acclamati da critica e pubblico (“Dead”, del 2014, ha vinto il Mercury Prize).

“Cocoa Sugar” è il lavoro più accessibile del trittico, perché è forse il risultato del perfezionamento definitivo della formula a base di rime e musica da club, r’n’b, industrial e avant pop, come hanno già fatto a modo loro (giocando su un campo più post punk e aggressivo) gli Algiers nell’ultimo “The Underside Of Power”.

Se gli album fossero ancora divisi in lati, il side A di “Cocoa Sugar” sarebbe da incorniciare: è di una bellezza rara la sequenza che mette uno accanto all’altro brani come l’inafferrabile Fee Fi, l’r’n’b sexy di In My View, che sembra prodotta da Mr. Mitch, il basso ipnotico di Turn e il gospel commovente di Lord.

Per nostra fortuna l’album procede in un mix di luci e ombre, caos e raccoglimento religioso, urla che si sovrappongono, hip hop serrato e sprazzi di rave party. È difficile fare un disco che suoni diverso dal resto, oggi più che mai, ma questi trentasei minuti fanno sperare che sia ancora tutto possibile.

(2018, Ninja Tune)

01 See How
02 Fee Fi
03 In My View
04 Turn
05 Lord
06 Tremolo
07 Wow
08 Border Girl
09 Holy Ghost
10 Wire
11 Toy
12 Picking You

IN BREVE: 4/5