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Breaking Bad compie 10 anni: un viaggio in questo cult seriale attraverso la sua soundtrack

[PREMESSE: Ovviamente, se non avete mai visto “Breaking Bad”, evitate quest’articolo come la peste: gli spoiler sono ovunque. Ci sono spoiler anche di altri show: nello specifico “The Shield”, “The Sopranos”, “The Wire”. Se avete intenzione di guardarli, sappiate che parti importanti della trama sono rivelate qui. Ci sono molte canzoni straordinarie usate in scene straordinarie che non abbiamo inserito per non rendere l’articolo troppo “pesante”. Speriamo non ce ne vogliate.]

Non crediamo siano stati in molti, nel Gennaio del 2008, quelli che avevano preventivato le dimensioni, le proporzioni della grandezza che avrebbe raggiunto quel piccolo show che debuttava sul canale via cavo AMC. Sì, la AMC aveva fatto debuttare lo straordinario successo di critica “Mad Men” l’anno prima… ma due successi straordinari consecutivi? Nah. E poi la premessa era troppo simile a “Weeds”, la persona comune che entra nel mondo della droga per supportare la famiglia. “Weeds”, ancora in corso, aveva debuttato nel 2005.

I due protagonisti, Bryan Cranston e Aaron Paul, erano nomi minori, a quel tempo. Paul si barcamenava tra varie comparsate in film, serie TV e pubblicità; Cranston… Cranston era probabilmente una scelta assai improbabile. Il padre di Malcom (protagonista dell’omonima serie), noto più per scene di straordinaria slapstick comedy che per monologhi intensi, con quella faccia da buono, ma buono vero, nel ruolo di uno che diventa sempre, progressivamente più cattivo, più violento, più sicuro. Naaah.

Persino l’idea di fondo, quella di cambiare radicalmente un personaggio dal primo all’ultimo episodio della serie, faceva storcere il naso. I grandi eroi della seconda Golden Age Of American Television, quella, per capirci, nella quale la HBO aveva per sempre alzato l’asticella del livello qualitativo di ciò che una volta sul “TV, Sorrisi e Canzoni” veniva chiamato telefilm, reclamando la dignità del prodotto, erano eroi le cui debolezze e punti di forza non erano intaccati dal percorso compiuto, per quanto complicato. Tony e Carmela Soprano, ad esempio, hanno fatto molta strada dalla prima puntata alla incredibile conclusione raggiunta in “Made In America”: Tony Soprano resta il medesimo Tony, forse più stanco, forse più disilluso, ma con gli stessi dubbi, lo stesso mal de vivre che lo aveva portato agli attacchi di panico nell’episodio pilota. E Carmela forse riconosce meglio le proprie debolezze, le proprie ipocrisie; ma non è di certo una Carmela diversa, non ha di certo superato le ambiguità morali con le quali combatte sin dal primo momento in cui la incontriamo.

Ancora: Vic Mackey in “The Shield” – talmente uguale da non accettare cambiamenti immutabili nella propria vita, cambiamenti che decide di ignorare a dispetto delle conseguenze. Jimmy McNulty, Lester Freamon, Keema Greggs in “The Wire”: talmente incapaci di non essere nient’altro che sé stessi da concludere il loro percorso sorridendo di sé stessi, della propria natura immutabile. E persino in “House M.D.”, il mantra del personaggio omonimo interpretato da Hugh Laurie è “people never change”.

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Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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