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Bruce Springsteen: 45 anni di Born To Run

Fate un piccolo sforzo e immaginate di essere a metà degli anni ‘70, avere 25 anni, essere senza soldi né famiglia a supporto e voler diventare una delle più grandi rockstar di sempre. Il gioco, però, prevede una modalità di sopravvivenza alla Jumanji: avete a disposizione una e una sola possibilità prima che la major vi spedisca dritti a dormire nella fabbrica di tavole da surf, dove avete vissuto per almeno quattro anni, respirando vapori di fiberglass e resina in quantità tali da “sterminare le cellule cerebrali di cento uomini”. Se volessimo quindi trovare una parola che riassuma le circostanze in cui nacque Born To Run, terzo album di Bruce Springsteen è “cattività”.

Nonostante la buona qualità di “Greetings From Asbury Park, N.J.” (1973) e di “The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle” (1973), Springsteen stentava a emergere, le perdite subite dalla prima formazione dell’artista continuavano a essere superiori agli utili. In aggiunta, tre elementi contribuivano a creare tensione nella rigida metodologia springsteeniana: il licenziamento di Vini Lopez, batterista dall’indole rissosa che faceva sfociare in scontro ogni singolo live del gruppo, l’amicizia nascente tra Springsteen e Jon Landau, chiamato a esprimere un parere sulle nuove tracce, in palese disaccordo con Mike Appeal, manager di Springsteen che fino ad allora aveva esercitato un potere rilevante sulle scelte, stilistiche ed economiche, dell’artista; infine, la maledizione del terzo disco: se anche quest’album si fosse rivelato deludente in termini di vendite, i rapporti commerciali con la Columbia si sarebbero inevitabilmente interrotti. Indecisione, paura, scelte last minute, musicisti pescati a casaccio tra le rive del Jersey Shore, erano tutti elementi pronti a materializzarsi proprio durante la creazione del disco più importante della sua carriera.

Ci volle un anno e mezzo e interminabili sessioni tra i 914 Studios e i Record Plant perchè “Born To Run” venisse al mondo; sei mesi per trovare la take perfetta della title track. “Born To Run” non fu per nulla un album dal successo postumo, trasformò Bruce Springsteen in leggenda. Figlio di una formazione incostante e sgangherata, destinata poi a diventare il marchio di fabbrica del suono springsteeniano (Ernest Boom Carter batterista della sola title track, sostituito al volo da Max Weinberg; il tecnico Louise Lahav rimpiazzato da un giovanissimo Jimmy Iovine, tastiere e glockenspiel affidate altrettanto velocemente a Roy Bittan), “Born To Run” racconta la vita di un ragazzo in otto tracce, alcune deflagranti (Born To RunBackstreet), altre brevissime (Night), altre dotate di un potere oscuro e seducente (Meeting Across The River), altre ancora monumentali (Jungleland). Thunder Road e Born To Run, legate da un sottilissimo filo tematico, si rivelarono l’ossimoro per eccellenza, ruvide e languide allo stesso tempo, a Mary che non era bella ma perfetta così, a Wendy di un amore folle e irrazionale, Tenth Avenue Freeze-Out, la storia della E Street Band nonché una tra le decine di leggende sull’ingresso di Big Man, Jungleland e il gigantesco contributo del sax di Clarence Clemons. 

L’artwork e la sua foto scattata da Eric Meola, che ritrae Springsteen e Clemons appoggiati l’uno all’altro, spalla a spalla) non raggiungerà i livelli di riconoscibilità legati a  “Born In The U.S.A.” (1984), ma resterà ammantata di  un forte significato emotivo; basti pensare che Springsteen volle ricreare la stessa immagine in occasione dell’half time del Superbowl, nel 2009. “Born To Run” e tutte le sue otto tracce stravolsero la vita di Bruce Springsteen, in tutti i sensi, portando a segno contemporaneamente le copertine delle due più importanti testate statunitensi, Time e Newsweek, procurandogli un esordio europeo all’Hammersmith di Londra la cui gestione fece imbestialire l’artista, impegnato poco prima del live a strappare i manifesti autocelebrativi trovati in teatro, che sulla scia della recensione di Landau (“Ho visto il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Bruce Springsteen”), preparavano all’evento il pubblico inglese.

Dopo il tour di “Born To Run”, Springsteen trascorse uno dei periodi più bui della sua vita, bloccato nella causa contro l’ex manager e amico fraterno Mike Appeal senza poter incidere nulla fino al 1978, quando con “Darkness On The Edge Of Town” diede finalmente sfogo a tutte le sue frustrazioni. Non è un caso che tutta la carriera di Bruce Springsteen giri attorno a “Born To Run” piuttosto che a “Born In The U.S.A.”. Ad ogni live il pubblico lo aspetta come fosse un’epifania, con Thunder Road eseguita in solo a fare da chiusura, con chitarra, armonica e migliaia di spettatori silenti: la festa, anche per stavolta è finita.

Da quel 25 Agosto 1975, Bruce Springsteen si trasformerà decine di volte, indosserà brillanti travestimenti, passerà dal depotenziare il sogno americano a raccontare la fine del suo matrimonio, a sostenere apertamente figure presidenziali, a vivere anni e anni in depressione senza che il pubblico ne sappia nulla, a compiere settant’anni senza mai smettere di calcare palchi di stadi in delirio, ma resterà sempre e per sempre Mr. Born To Run.

DATA D’USCITA: 25 Agosto 1975
ETICHETTA: Columbia

Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.

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