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Lush: 25 anni di Lovelife

L’era britpop ha avuto tanti protagonisti, alcuni rimasti nella memoria collettiva come i “big four” Blur, Oasis, Pulp e Suede, ma anche molti altri meno conosciuti che, con un solo album o pochi di più, hanno contribuito ad aggiungere un tassello alla storia della scena indie made in UK degli anni Novanta. A riprova di tutto ciò, è notizia di questi giorni la prossima uscita della raccolta “Caught Beneath The Landslide: The Other Side Of Britpop And The ’90s”, prevista per il 30 Aprile in formato CD e il 14 Maggio in versione LP, la cui ricca tracklist comprende una selezione di brani più o meno noti, appartenenti a una vasta moltitudine di gruppi: in tutto questo naturalmente vi sono anche i Lush.

Il quartetto londinese, composto all’apice del suo successo dall’iconica frontwoman Miki Berenyi, la chitarrista Emma Anderson, il bassista Phil King e Chris Acland alla batteria, le cui prime produzioni si collocano in territorio shoegaze e dream pop, ha abbracciato il sound britpop con il suo ultimo lavoro, Lovelife. Il successivo scioglimento della band, dichiarato ufficialmente nel 1998, fu inevitabile a causa del suicidio di Acland, avvenuto al termine dello stesso anno di pubblicazione del disco, il 17 Ottobre del 1996.

In apertura vi è l’orecchiabile e strafottente Ladykillers, uno dei brani più famosi del gruppo, a cui fa seguito Heavenly Nobodies, caratterizzata da riff ispirati a band sixties come The Kinks e The Monkees e apparentemente incentrata su un incontro avvenuto tra un conoscente di Berenyi e la frontwoman delle Hole, Courtney Love. Vi sono poi la giocosa 500 (Shake Baby Shake), scritta da Anderson, all’epoca neopatentata, e dedicata alla mitica Fiat 500, un’altra storia di infatuazioni sbagliate e amici fondamentaliraccontata in I’ve Been Here Before e la lenta e sommessa Papasan.

Altri pezzi forti del disco sono l’irresistibile e ironica Single Girl e la successiva Ciao! che vede la partecipazione di Jarvis Cocker. L’atmosfera di Tralala esprime sonoramente l’esatto opposto di ciò che suggerirebbe il titolo, trattandosi di una leggera ballad semi-acustica, mentre le melodie sintetiche della seguente Last Night mantengono il clima cupo e serio fino a Runaway, i cui i cori e riff di chitarra richiamano nuovamente alcuni gruppi degli anni Sessanta. Il disco riprende velocità con The Childcatcher per poi concludersi con gli archi della triste Olympia.

Forse “Lovelife” non rientrerà nella selezione degli album del secolo, ma di quel bel decennio che furono i nineties sicuramente sì: in esso troviamo frammenti di rassicuranti melodie lontane appartenenti ai club indie, qualche bevuta tra amici in un pub e ritornelli da cantare a squarciagola con spensieratezza, il tutto velato da un leggero senso di malinconia.

DATA D’USCITA: 5 Marzo 1996
ETICHETTA: 4AD

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.

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