Quando ancora il grunge non aveva esondato dagli argini di Seattle, Mark Lanegan aveva già esordito da solista trovando una via di fuga − e una personale proiezione futura − dalle tensioni della sua band, gli Screaming Trees, in giro già da metà anni ’80 e figli minori di quell’epopea che avrebbe avuto in Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden e Alice In Chains la propria cartina di tornasole. Nel 1990 “The Winding Sheet” aveva così segnato il primo tributo al blues, al folk e ai propri demoni di quell’orso con una caverna al posto della gola. Con l’abbattersi dello tsunami grunge sul mondo del rock, anche gli Screaming Trees furono investiti dal turbinio di singoli, dischi e promozione, così che Lanegan dovette attendere fino al 1994, quando il dado di Seattle era ormai tratto, per rituffarsi nella produzione solista. Basterebbe la copertina di Whiskey For The Holy Ghost per descriverne il contenuto sonoro: una bottiglia del distillato del titolo, un posacenere pieno di cicche di sigarette e una bibbia, lo stretto indispensabile per stare lì a rimuginare in quel lungo processo di autodistruzione che Lanegan aveva intrapreso già da qualche anno e che in quel momento era giunto all’apice. Ambientazioni western, i maestri Johnny Cash (Pendulum) e Tom Waits (Borracho) a osservarlo da lontano e gli incubi di Nick Cave un po’ più da vicino (The River Rise), Lanegan firma alcune delle sue migliori prove in solitario, vedi l’acustica venata dall’organo di Kingdoms Of Rain, il dolore viscerale di Riding The Nightingale, la scurissima Dead On You e il toccante minimalismo di Judas Touch. Se con il debutto del ’90 Mark Lanegan aveva dato l’accordatura alla sua nuova dimensione artistica, è con “Whiskey For The Holy Ghost” che un songwriter fatto e finito prende definitivamente il sopravvento nella testa e nelle intenzioni del frontman, facendo spiccare il volo a quella che sarà con pochi margini d’errore la miglior carriera solista dell’universo grunge.
DATA D’USCITA: 18 Gennaio 1994
ETICHETTA: Sub Pop