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Oasis: Supersonic

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Uscito per appena tre giorni nelle sale italiane (7, 8 e 9 Novembre), Oasis: Supersonic è un riuscitissimo rockumentary prodotto dai creatori del pluripremiato “Amy” che ripercorre i primi anni della band di Manchester, dagli albori fino agli epocali concerti di Knebworth. Le voci fuori campo sono molteplici: Noel e Liam Gallagher, altri membri della famiglia (il fratello Paul e mamma Peggy), parte della vecchia crew e gli ex membri degli Oasis Bonehead e Tony McCarroll. Proprio il coinvolgimento di quest’ultimo stupisce in positivo, visto che non si era esattamente lasciato bene con i Gallagher: la causa per le royalties da lui intentata, con tanto di immagini del processo, è una delle tante chicche presenti nel documentario.

Tra le altre rarità presenti impossibile non citare gli inizi di Noel come roadie degli Inspiral Carpets, un rarissimo filmato del concerto al King Tut’s di Glasgow (dove la band venne notata dal boss della Creation Alan McGee), l’esperienza a tempo del bassista Scott McLeod, un disastroso concerto californiano a rischio overdose da anfetamine, un’esibizione a quattro da David Letterman. Nel mezzo il rapporto difficile e burrascoso con il padre violento e ovviamente tanta musica: spiccano le prove dei primissimi anni ’90 dove gli Oasis suonano un’acerba All Around The World (verrà pubblicata solo in “Be Here Now” del ‘97), Sad Song cantata da Liam anziché da Noel, l’inedita Life In Vain e le poco convincenti registrazioni di “Definitely Maybe” prima dell’intervento riparatore di Owen Morris (viene proposta un’irriconoscibile Cigarettes And Alcohol).

Imperdibile per i fan, comunque piacevole per tutti gli altri, “Oasis: Supersonic” ha una formula narrativa avvincente e innovativa (niente a che vedere con i classici e noiosi documentari musicali di qualche anno fa), e appassiona in modo genuino lo spettatore durante le due ore di proiezione. Peccato solo per la traduzione dei sottotitoli piena di errori madornali: l’ex allenatore del Blackburn Kenny Dalglish diventa ”Wales” e ” parka” viene tradotto con ”Parker”. A questi livelli è onestamente inaccettabile.

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