Febbraio 1967, Londra, Abbey Road Studios: mentre i Beatles stanno portando a termine “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, il loro indiscusso capolavoro, a pochi metri di distanza i Pink Floyd entrano in studio per registrare l’esordio che avrebbe dato inizio alla loro leggenda. Sta tutta in quest’incastro la storia più significativa della psichedelia inglese: da un lato l’omaggio di John, Paul, George e Ringo all’epopea lisergica di fine Sessanta, dall’altro l’estro inacidito di Syd Barrett, capace di scrivere praticamente da solo The Piper At The Gates Of Dawn, trascinando con sé Roger Waters, Nick Mason e Richard Wright e regalandogli un bagaglio artistico che li avrebbe accompagnati per un’intera mastodontica carriera. Syd con l’LSD ci andava pesante, molto pesante, e il disco altro non è che la rappresentazione delle visioni avute da Barrett durante i suoi lunghi viaggi fuori dal corpo, fuori dalla Terra, lì nello spazio. È questo ciò di cui parlano Astronomy Domine e Interstellar Overdrive, i perni attorno cui ruota l’intero album. Ispirato a un libro di fiabe per bambini di Kenneth Grahame, “The Piper” ne riprende nei testi le ambientazioni, dal gatto magico di Lucifer Sam al personaggio fantasy di The Gnome, shakerando in modo apparentemente disordinato filastrocche, ispirazione folk, improvvisazione e pura psichedelia: dilatazioni sonore, riverberi, annacquamenti, distorsioni, suoni strambi e trovate rumoristiche sono la cifra stilistica dell’intero disco e del suo deus ex machina. Pietra miliare di quella che è stata (e difficilmente verrà mai eguagliata) l’annata più significativa della storia del rock, “The Piper” resterà per sempre anche il testamento di un genio bruciatosi in una vampata subito dopo la sua pubblicazione.
DATA D’USCITA: 5 Agosto 1967
ETICHETTA: Columbia / Tower