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Queens Of The Stone Age: 20 anni di Songs For The Deaf

Che suono ha il deserto? Quello californiano, per intenderci. Che rumore fa? Siamo nei primi anni 2000, Josh Homme a questo punto della sua vita è nell’industria musicale da molti anni, ha già fatto la storia della musica inventando lo stoner rock, i suoi Kyuss (prima Sons Of Kyuss e ancora prima Katzenjammer) si sono sciolti e dalle loro ceneri è nato il progetto che più di ogni altro renderà Josh celebre nel panorama musicale mondiale: i Queens Of The Stone Age. La band fino a quel momento ha pubblicato due album, l’omonimo debut (1998) e “Rated R” (2000), ma il meglio deve ancora arrivare, perché il loro terzo LP sarà quello della consacrazione.

Songs For The Deaf è definibile come l’esperienza di un road trip da Los Angeles a Joshua Tree, attraverso il deserto della California, le radici di Josh. Un vuoto in cui da bambino ha “dovuto imparare a creare il suo divertimento”. Nel 2002 questo divertimento diventa anche il nostro. A rendere “Songs For The Deaf” un album così magnetico, hanno sicuramente contribuito la collaborazione con l’ex Kyuss Nick Oliveri, il compianto Mark Lanegan, ex frontman degli Screaming Trees, e Dave Grohl, che per l’occasione è tornato alla batteria dopo averla lasciata un po’ da parte per diventare il frontman che oggi conosciamo bene. Con le giuste persone Josh era finalmente pronto a dare forma al viaggio in solitaria che aveva immaginato.

Mettiamo in moto la nostra auto impolverata. A tenerci compagnia una radio mezza scassata che riceve solo stazioni improbabili. KLON Radio? Ma sì, tanto non prende un cazzo. E invece abbiamo la fortuna di beccarci You Think I Ain’t Worth A Dollar, But I Feel Like A Millionaire, che mette subito in chiaro le cose: qui non si perde tempo. Abbiamo appena lasciato la frizione e il tachimetro segna già i 200 km/h, le chitarre ruggiscono forte, fortissimo, così come le urla sanguinolente di Nick Oliveri. Josh Homme è un frontman generoso e dividerà il microfono con lui e Lanegan per tutto l’album. Il canto di Nick è violento, l’estremo ribelle di cui il disco aveva bisogno, e Six Shooter ne è un’ulteriore conferma, mentre in Gonna Leave You e Another Love Song non sembra nemmeno la stessa persona. Pura schizofrenia.

La voce calda e cavernosa di Lanegan, invece, ci regala tre dei brani migliori: Hanging Tree, God Is In The Radio e la tormentante Song For The Dead, una delle varie prove, sparse per il disco, della bestialità di Grohl alle percussioni. Non a caso possiamo tranquillamente definire questo disco come uno dei picchi massimi della sua carriera da batterista. Ma Josh, invece? Oltre ai tre celeberrimi singoli No One Knows, Go With The Flow e First It Giveth, è protagonista della disperazione apocalittica di The Sky Is Fallin’, della sofferenza acustica di Mosquito Song e della colonna portante, la title track, Song For The Deaf. Ma non solo. Che canti o meno, questo album è pregno di Homme, che ne è la mente, l’intenzione, l’anima. D’altronde il deserto è casa sua, chi meglio di lui può raccontarlo.

Conclusa la nostra traversata, con il sole ormai oltre l’orizzonte e tutto attorno il nulla, spenta la radio rientriamo a casa con le gambe intorpidite ma anche con una nuova risposta. Rocce aride, asfalto rovente e terra rossa nelle scarpe, nelle mutande, ovunque. Ecco com’è, il suono del deserto. Fastidio e goduria, stridore e quiete. Il suono del deserto è “Songs For The Deaf”.

DATA D’USCITA: 27 Agosto 2002
ETICHETTA: Interscope

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