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The Cure: 40 anni di Faith

“Vuoto, superficiale, pretenzioso, senza significato, autoindulgente e privo di cuore e anima”, questi furono alcuni dei commenti meno lusinghieri rivolti a Faith, terzo lavoro dei The Cure e secondo ad appartenere alla cosiddetta “prima fase dark”, iniziata nel segno del precedente “Seventeen Seconds” (1980) e che ha trovato il proprio culmine con “Pornography” (1982). E pensare che le premesse erano quelle di un album allegro e ottimista, o almeno queste erano le intenzioni su cui erano state basate le prime demo del trio Smith-Gallup-Tolhurst, poiché la successiva scomparsa di alcuni componenti delle loro famiglie li condusse in tutt’altra direzione.

Tra le influenze più evidenti si possono riconoscere i Neu!, i primissimi Pink Floyd di Barrett, oltre ovviamente ai Joy Division, e il sound minimale mescola post punk e atmosfere tipiche del rock gotico, eleggendo come grande protagonista di quasi tutti i brani il basso di Simon Gallup. Ciò che risultò più dannoso da parte della critica, fu l’ostinazione a voler trovare un’etichetta a tutti i costi a questo disco, limitandosi a bollarne i contenuti come “deprimenti”: “Faith” preso nel suo complesso, oltre ad essere equilibrato e coerente, presenta testi che possono essere considerati tutto fuorché superficiali o privi di senso e sentimento.

La spettrale copertina, opera del futuro componente della band Porl Thompson, ritrae l’Abbazia di Bolton avvolta dalla nebbia, una sorta di fantasma inquietante appartenente all’infanzia di Robert Smith, così come il rapporto con la fede, tema portante dell’intero album. L’apertura è riservata alle atmosfere funebri sottolineate dall’incedere del basso di The Holy Hour e dalla più dinamica Primary, suonata per la prima volta durante il Seventeen Seconds Tour in tributo a Ian Curtis e con il titolo di “Cold Colours”, mentre gli echi della successiva Other Voices riprendono l’andamento lento e minimale del primo brano.

Non mancano i riferimenti al mondo letterario tanto caro a Smith, con la tetra All Cats Are Grey, traccia in prevalenza strumentale, e le saette sprigionate dai piatti della batteria dell’altrettanto cupa e cadenzata The Drowning Man, che traggono ispirazione dalla trilogia di romanzi fantasy di “Gormenghast” di Mervyn Peake. Vi è poi la più eterea The Funeral Party, cui segueno lo scossone dato dalle ritmiche della disperata Doubt e la più riflessiva e sottilmente sarcastica Faith in chiusura, caratterizzata da una lunga intro.

Esistono dischi in grado di dividere fortemente la critica e di conseguenza spesso molto sottovalutati, tra questi vi è sicuramente “Faith”, un passaggio da ricordare obbligatoriamente nella carriera dei The Cure, immerso nelle atmosfere più oscure mai toccate dalla band, seconde soltanto a “Pornography”, che hanno scritto una pagina importante nella storia del gothic rock.

DATA D’USCITA: 14 Aprile 1981
ETICHETTA: Fiction / Elektra

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.

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