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The Verve: 25 anni di Bitter Sweet Symphony

Photo Credit: Bitter Sweet Symphony / Video
Photo Credit: Bitter Sweet Symphony / Video

Quando Richard Ashcroft forza per tenersi più delle cinque note consentite dal diritto d’autore, sa già che porterà la sua band a picco, ma va avanti perché certi pruriti, certe bramosie che assomigliano a ossessioni, non si possono domare. Quei violini li vuole, a tutti costi, e in abbondanza, più di cinque note. Ora però Richard sta lì, in un’aula di tribunale, vestito come un pagliaccio: abito largo con cravatta demodé e occhiali da sole degli anni sessanta. Il tribunale è un luogo che Richard disprezza perché puzza di candeggina ed è pieno di facce terribilmente convenzionali. Oltretutto gli ricorda il 1994 quando, a Lollapaooza, i Verve finiscono tritati dalla vita selvaggia in tour col batterista Pete Salisbury arrestato per aver distrutto la camera d’albergo e lui in ospedale per crisi di idratazione. Sempre quella puzza di candeggina proveniente dal secchio delle pulizie. Identico, in tribunale come in ospedale.

Il giudice arriva in aula. La corte si alza. La condanna arriva puntuale: i Verve hanno abusato del riff di violini per la loro Bitter Sweet Symphony. Quei violini appartengono ai Rolling Stones. Le royalties vanno a Jagger e Richards. Colpo sordo del martelletto. L’udienza è tolta. Tutti a casa. Succede sempre così. Le scelte si pagano, l’azzardo ha un costo. È il costo in questo caso è ingente: il più grande successo dei Verve non arricchirà i Verve, quantomeno non economicamente, ma “altri”.

Bitter Sweet Symphony per Ashcroft e i Verve rappresenta quindi un paradosso. È il gradino più alto della loro carriera, ma anche quello che li conduce alla fine (dal 1997, uscita del pezzo, al 1999, scioglimento della band, scorre il sangue del dissidio e tutto va a rotoli). Ma d’altronde la vita è una sinfonia dolceamara, no?

Questo succedeva venticinque anni fa. In un momento in cui si finiva in tribunale per delle note rubate. Il 16 Giugno 1997, con tutte le discordie del caso, questa canzone arriva comunque al mondo. È una canzone che viene dallo spazio, non assomiglia a nulla, non è legata a nulla, non assomiglia ai Verve, non assomiglia a niente di tutto quello che si sta producendo in Inghilterra. È un classico, ma è anche un pezzo nuovissimo, e le cose combaciano solo poche volte nella vita. In più ha un video epocale e per una volta non è un aggettivo facile: pochi videoclip come quello di Bitter Sweet Symphony raccontano un momento preciso del mondo. Una camminata imperturbabile che è una sorta di sfida al destino. Eccolo Richard Ashcroft: giubbino di pelle, pantaloni neri, capelli neri, umore nero. Una luce plumbea lo accompagna nel suo incedere. Partono i violini della discordia e parte lui. A Hoxton Street, Londra, c’è un uomo vestito di scuro che non guarda in faccia nessuno e anzi investe tutto ciò che gli si frappone. Va per la sua strada, sordo. Non si guarda indietro, né a destra, né a sinistra. Macina quel marciapiede. Zompa sulle automobili, urta i passanti, rischia il linciaggio e, stringendo i denti, urla il suo dolore:

“Nessun cambiamento. Posso cambiare, posso cambiare?
Ogni giorno mi sento un milione di persone diverse.”

“Mi sento un milione di persone diverse” – si dimena Ashcroft. Ha la faccia interrotta. Il suo corpo è snodabile: una palla di gomma. Cammina, anzi rotola, anzi si srotola come un gomitolo s’una strada. Non ha un passato dietro di sé, né un futuro. C’è solo una strada, una qualsiasi. Sì, quell’uomo non ha geografia, né storia, non ha ricordi, bussole, non ha nulla. Solo un binario da seguire. Ed è una sinfonia dolceamara, ma anche il destino di umanità che cammina spedita verso il nuovo millennio: di fatto un salto nel buio.

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