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Ardecore: «Non si vive di sola poesia»

Gli Ardecore sono uno di quei progetti assolutamente senza paragoni. Partono da Roma e della capitale propongono una spiazzante rilettura della tradizione stornellara in chiave rock e sperimentale, oltretutto all’inizio, coinvolgendo uno come Jeff Farina (Karate) in un impasto folk che intreccia radici musicali diverse. Oggi gli Ardecore tornano con “San Cadoco”. Un disco doppio, complesso, bipolare che vede Giampaolo Felici duettare con la nuova cantante Sarah Dietrich. Gianpaolo ha raccontato a Il Cibicida il loro nuovo album.

Giampaolo, partiamo dal titolo del nuovo disco “San Cadoco”. Mi racconti come sei arrivato a questa storia?
Non necessariamente bisogna prendere alla lettera il titolo inteso come la storia di una persona specifica. Per me rappresenta la difficoltà, l’inquietudine, i dubbi e tutte le angosce di chi cerca le risposte nella verità, con fede e spirito di abnegazione. La via del santo è quella dell’affrancamento dalla sofferenza in un percorso che nella sofferenza individui i codici dell’evoluzione del genere umano, che solo nel superamento dello stato solido e materiale può trovare la via d’uscita dal male che lo circonda e di cui è artefice. E’ quello che per i più è noto come “salvezza”.

Il disco è doppio ed è segnato dai contrapposti maschile/femminile; sogno/realtà; suoni forti/deboli. Le contrapposizioni danno intensità?
Maschile e femminile e tutti gli altri “contrari” che emergono nella dualità delle cose umane, appunto. Le contrapposizioni creano la giusta tensione che fa scaturire la vita e ci danno il modo di riflettere e ritrovare, dopo un percorso di crescita, la strada che ci riporti all’origine, alla consapevolezza che tutto proviene dall’alto, inteso come una concezione superlativa che non possiamo comprendere, ma solo ammirare in rari momenti di bellezza. Questo per me è l’intensità di cui parli.

La voce femminile è quella di Sarah Dietrich. Come nasce la collaborazione?
Ho conosciuto Sarah in occasione di una sua esibizione insieme a Tiziana Lo Conte e i Lendormin all’Init, club di cui curo la selezione artistica. Mi apparve subito come un personaggio che non poteva essere circoscritto nella scena sperimentale in cui si stava esprimendo e, dal momento che avevo già in animo di costruire una parte femminile per “San Cadoco”, le chiesi di entrare in maniera stabile nel gruppo. Lei ne fu entusiasta ed accettò la mia proposta. Abbiamo fatto alcuni live prima di entrare in studio per le registrazioni, che ci sono serviti per trovare il giusto equilibrio nei nostri rispettivi modi di cantare. Lei ha tanto da poter esprimere perche lo fa con naturalezza, senza costruzione o tecnicismi tanto di moda tra le cantanti odierne. Lei era la migliore nel panorama femminile della scena romana e l’interpretazione che ha in seguito sviluppato nell’album ne è la conferma.

“Le parole sono idee, ma sono i fatti che contano” canti in “Meravigliosamente”. Sembra una specie di monito moderno..
C’è gente che parla di cose bellissime e poi non muove un dito per realizzarne neanche un centesimo nella realtà. E’ fondamentale tradurre in azione le buone intenzioni, non si vive di sola poesia. Questo può essere il senso della frase di cui parliamo, ma è vero anche il fatto che nella pratica, la realizzazione di alcuni buoni propositi ha portato uomini a commettere gravi errori. Come vedi i “contrari” e i dubbi che ne scaturiscono, ricorrono spesso nei brani dell’album. Comunque gli accadimenti sono necessari, altrimenti non si va da nessuna parte.

Il disco doppio è un po’ in controtendenza con l’attuale crisi discografica. Vi siete posti il problema? E mi dai una tua opinione sull’attuale situazione del disco?
Noi facciamo parte di quella schiera di persone che pensano che fare musica sia fondamentalmente un’espressione artistica prima che un’opportunità commerciale. Quindi si parte da un’esigenza creativa che fa emergere un filo conduttore che attraversa tutti i brani che compongono un album. In questo caso volevamo parlare di dualità in genere, contrapporre una serie di valori tra di loro in maniera leggibile per chi ascolta, quindi era d’obbligo dividere il lavoro in due parti distinte. La situazione del “disco” in questa fase storica? “La gente ascolta brani singoli mp3 nell’i-pod”!!!

Ci sono molti temi femminili nella seconda parte, un punto di vista diverso e difficile da interpretare per te?
No, ma sarebbero stati meno credibili di come lo sono ora con Sarah alla voce. Sull’album precedente ho interpretato “Beatrice Cenci”, cercando di restituire all’ascoltatore tutta la drammaticità che la cronaca dell’epoca aveva riversato sulla vicenda della famiglia Cenci, ma nel caso di un disco che è soprattutto femminile mi sarebbe stato difficile essere cosi incisivo.

Nascete con la rilettura della tradizione popolare sonora. Rimarrà sempre la “filosofia” degli Ardecore?
La nostra filosofia è quella di usare le nostre radici per andare verso nuove direzioni o per lo meno verso direzioni che sarebbero dovute già essere prese da tempo sia a Roma che in Italia. Sul primo album abbiamo voluto mettere l’accento sull’aspetto più drammatico della nostra cultura, aumentando gli aspetti ritmici e dinamici dei brani che avevamo scelto di reinterpretare. Sul secondo album abbiamo collocato idealmente la nostra ricerca alle origini della discografia italiana, a cavallo tra le due guerre per porre ancora maggiormente l’attenzione sulle nostre radici musicali. “San Cadoco” si pone come la continuazione filologica che ci porta idealmente alla generazione successiva che va dagli anni ‘60 agli ‘80, del rock e delle sperimentazioni elettriche. La nostra rilettura non è casuale. Stiamo seguendo una logica ben precisa.

Roma è presente ancora in maniera molto forte. Cosa senti di dire della tua città per come la vedi oggi?
Credo che Ardecore rimarrà sempre fedele, in qualche maniera, alla propria radice romanesca, anche quando dovesse esprimere un tema che racconti di chissà quale argomento distante dalla città eterna. Ci sarà sempre qualcosa che ci riconduce a Roma. Questa è una legge per tutto il mondo, per noi è un piacere. Oggi credo che i romani dovrebbero rimanere coscienti dell’enorme storia che li circonda e che il carattere che li descrive è frutto di millenni di conoscenza degli accadimenti del mondo e della cultura che ci ha fatto scuola. Si può sempre imparare molto ma la mentalità provinciale di alcuni non è adatta a quella romana.

Cosa ti ha insegnato la musica?
La passione che ti da la voglia, oltre che la forza, di andare avanti per costruire qualcosa che rimanga. Il piacere del sacrificio per un ideale buono, mentre tutto intorno tende a scoraggiarti. Ogni cosa che da la voglia a chiunque di fare cose per il piacere di fare bene è un’ arte e ognuno dovrebbe essere incoraggiato a sviluppare le proprie tendenze. Io odio la regola che distrugge la creatività ai ragazzi nel loro sviluppo. A me, principalmente ha insegnato questo.

* Foto d’archivio

A cura di Riccardo Marra

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